C.S.
E così anche Segre se n’è andato. Una vera moria – prevedibile, in effetti, date le età anagrafiche – dei miei tempi belli all’università di Pavia.
Due esami di filologia romanza e parecchi corsi compreso uno sulle scurrilità dantesche [«Ed elli avea del cul fatto trombetta» (XXI, v. 139)], e allora non lo capivamo ma rientrava in un discorso molto più generale sui registri, gli stili e l’importanza di parlare (e dunque comportarsi) in modo appropriato, insomma ho avuto, come tanti altri, una certa frequentazione con il professore.
A differenza di tanti, però, insieme ai miei compari A. e M. durante forse l’esame di filologia romanza 2, riuscimmo – mentre esponevamo tutta una tirata sull’Entrée d’Espagne noiosa come solo gli studenti-bestie sanno fare – a far addormentare l’esimio. Afferrato istantaneamente che fosse di certo meglio continuare a parlare per cullarlo nel sonno, a costo di dire qualsiasi cosa a prescindere dal capo e dalla coda, ci guadagnammo un trenta tondo tondo al risveglio dal torpore, dato che non poteva certo darci di meno, non avendo alcuna prova dell’andamento dell’esame.
Ed è un ricordo di cui vado orgoglioso: di studenti bravi ne avrà avuti a centinaia, di cani molti di più, ma quanti gli hanno donato dei bei minuti di sonno?
La ricorderemo, professore.
E che dire di quando salmodiammo ossequiosi, passando nei pressi di Saluzzo?
Grazie di avermi riportato alla mente il ricordo di quella soporifera esposizione.
Addio, professore.
ps Io, peraltro, negli anni, tanto affinai il metodo che – mi dicono – in sede di laurea riuscii ad assopirne il Presidente, nonché mio relatore. Guadagnandomi perciò pure la lode.