Parrebbe non vero a raccontarlo ma è così.
Ieri mattina mi decido, dopo mesi, a riscattare gli anni di università ai fini pensionistici. Complici alcune situazioni vagamente favorevoli – la piena detraibilità fiscale, il fatto che ho due-davvero-due soldi da parte, la possibile rateizzazione, gli anni che avanzano – mi decido: in fin dei conti sono quattro anni, mica poco. E poi c’è il militare, un altro anno.
Lo so, oggi pare una barzelletta.
Vado all’INPS e prendo un appuntamento per, attenzione!, presentare la domanda di calcolo dell’importo per il riscatto degli anni di università. Per presentare la domanda, non per avere la risposta. L’appuntamento è fissato per il 5 ottobre 2011. Cinqueottobre. Trentasei giorni per poter presentare una domanda. Vabbuò, mi dico, ho tergiversato io finora quindi non saranno quelle cinque settimane in più a cambiare le cose. E mi sento già un po’ eroe per aver messo in moto la macchina contributiva, in qualche modo.
Torno a casa e già mi vedo con cinque anni di meno di sgobbo sul gobbo, per dirla alla giovane. Pensiero stupendo. Mi costerà, certo, e non poco, ma diciamo che per fiducia infinita nel sistema Stato (teoria) e per un piccolo conto personale, la cosa mi conviene comunque. Ho visioni deliranti dei miei anni contributivi che raddoppiano, triplicano, che diventano quaranta in un sol botto, mentre mangio la pagnocchina mi vedo già in posta a far la fila per ritirare il gruzzoletto mentre mi lamento per il tempo e rompo i maroni ai presenti con delirii da arteriosclerosi galoppante. Bellissimo. Un sogno.
Appunto. Tempo un’ora e da sogno (bello) diventa sogno (orrendo). I cinque anni, università più militare, in un sol colpo svaniscono. Ma no, mi dice quel deretano criminale drizzabanane del ministro, guarda che valgono lo stesso ai fini del calcolo della pensione, solo che non li conteggiamo come anni di anzianità. Resto secco. Ma secco secco. Dunque un anno in cui sono stato obbligato a ottemperare i servizi di Patria, pigliando cinquemilacentolire al giorno, non vale una benemerita cippa. E quattro anni nei quali ho cercato, un minimo, di imparare qualche cosa per poi contribuire per la mia parte allo sviluppo del paese valgono altrettanto. Niente. E il fatto che questa disposizione possa, eventualmente, non passare in parlamento o essere modificata non cambia ciò che provo ora.
E’ ovviamente un messaggio davvero interessante da parte dello Stato: studiate, cari, studiate. E poi qualche imbelle, di solito tardivo, pone la classica affermazione stupita: “Certo che i giovani di oggi non pensano al futuro, non fanno programmi”. Ma vaffanculo, io nemmeno dovrei rientrare nella categoria ‘giovani’, in un paese normale che avesse una classe dirigente poco meno che ottuagenaria o più. Da secco, divento incazzato. E molto.
E’ dunque del tutto impossibile fare un accordo con questo Stato (accordo peraltro favorevole a entrambi, più a lui che a me), i diritti non sono più né acquisiti né acquisibili, non è mai possibile fare uno straccio di programma in questo cazzo di paese, immaginarsi il futuro, magari un minimo costruirlo fin da ora che sono forte di un bel contratto a progetto con remunerazione piuttosto bassina senza nessun tipo di protezione. Bene, proprio bene.
Non mi resta, come da titolo, che portare distruzione e morte – ancora una volta di più – su questo governo vigliacco. Stronzi.