francis il muro parlante: maledetta la fretta di far la rivoluzione

Scrivere sui muri è arte sopraffina e dovrebbero farlo solamente coloro che sanno ciò che scrivono.
Se poi chi scrive lo sa e chi legge lo sa parimenti, allora il binomio è compiuto. E’ questo il caso, in cui Ms. C. – occhio attento e inquadratura lesta – ha fornito foto e titolo, con mia imperitura gratitudine e apprezzamento per la condivisione.

E se poi si perdono le apostrofi per strada, non importa: bando alle sottigliezze.
Grazie, Ms. C.

ma che minchiate tocca leggere

Giuro

 

che

 

ci sto

 

provando…

quando salirò sulla cima della montagna più alta…

Walter Bonatti, come sempre, sarà già là.
Addirittura più grande come uomo che come alpinista (e le due cose vanno insieme), fu il mio idolo, non esagero, quando mi dedicavo alle vette piccoline e non avevo nulla dell’infante prodigio. Ed era bello leggerlo, come lo è ora: perché anche lui, per la sua parte, mi ha insegnato una cosa importante: il senso per la giustizia. Grazie, sul serio.
(e perdonami se ti ho messo vicino alla schifezza qui sotto, certe cose capitano per caso).

abrogare quest’uomo

E’ un bel problema, in sé e il fatto che tocchi a noi provare a metterci una pezza. Però è da fare, niente discussioni, con il risultato – al solito – che se passa il referendum e lo si vince, poi non si troverà in giro nemmeno un pellegrino responsabile di questa sciagurata legge.
A oggi le firme sono 387.000 circa, ne servono ancora entro la fine del mese. Eddai.

francis il muro parlante: superminimal

Scrivere sui muri è arte sopraffina e dovrebbero farlo solamente coloro che sanno ciò che scrivono.
E ancora meglio se la scritta ha una relazione con il muro alla quale è destinata, come in questo caso: buco piccolo, scritta elegante e minima, quasi una didascalia che proprio perché inutile diventa bella e mattamatta. Superreale, oserei dire, nel senso che sta sopra.

Sciapò.

nostalgissima canaglissima

A GùgolMappse non si rendono conto delle implicazioni di ciò che fanno.
Fotografare tutto l’orbe terracqueo e congelarlo a un dato punto del tempo comporta conseguenze del tutto imprevedibili: è possibile, infatti, che si sia stati immortalati a propria insaputa (per esempio, se non sbaglio, grandesacchetto tempo fa mi si mostrava esposto in pubblica via agli sguardi dell’universo), e magari la cosa non è del tutto gradita, oppure è possibile che sia stato fotografato un incidente, un furto, un’apparizione aliena, un supereroe urbano di passaggio, un coito occasionale e fugace, insomma roba così. Oppure, ancora, è possibile che sia stata fotografata una cosa che non esiste più.

E’ il mio caso, mannaggia: scorrendo qua e là il mio amico mr. C. mi ha segnalato che in un tal luogo esiste un’immagine di ciò che era e non è più. La mia bicicletta, che mi fu sottratta da un tizio che-se-lo-trovo-gli-mangio-la-mamma e che fa ancora bella mostra di sé là dove era solita essere e dove la vidi per l’ultima volta. La nostalgia si fa largo, sono corso giù a vedere ma non c’è, essa ormai esiste solo in Gùgol, in una specie di rappresentazione del mondo che non corrisponde alla realtà ma a un attimo della realtà, casuale e irripetibile. Maledizione.
Ma il fraintendimento, in effetti, è facile: io che corro giù a cercare la bici, speranzoso avendola rivista al suo posto, oppure il babbo di trivigante che qualche tempo fa – per qualche breve istante e più che comprensibilmente – prese a controllare GùgolMappse con una certa frequenza per verificare variazioni, avendolo scambiato per una telecamera puntata. Non è così, non è la realtà e ogni foto è un passato diverso, il che comporta non poche implicazioni.
Ma pensa se Gùgol me lo recensisse Roland Barthes…
A ogni modo, l’immagine è questa e c’è anche la signora dalle gambe davvero strane:

distruzione e morte su questo governo

Parrebbe non vero a raccontarlo ma è così.

Ieri mattina mi decido, dopo mesi, a riscattare gli anni di università ai fini pensionistici. Complici alcune situazioni vagamente favorevoli – la piena detraibilità fiscale, il fatto che ho due-davvero-due soldi da parte, la possibile rateizzazione, gli anni che avanzano – mi decido: in fin dei conti sono quattro anni, mica poco. E poi c’è il militare, un altro anno.

Lo so, oggi pare una barzelletta.
Vado all’INPS e prendo un appuntamento per, attenzione!, presentare la domanda di calcolo dell’importo per il riscatto degli anni di università. Per presentare la domanda, non per avere la risposta. L’appuntamento è fissato per il 5 ottobre 2011. Cinqueottobre. Trentasei giorni per poter presentare una domanda. Vabbuò, mi dico, ho tergiversato io finora quindi non saranno quelle cinque settimane in più a cambiare le cose. E mi sento già un po’ eroe per aver messo in moto la macchina contributiva, in qualche modo.

Torno a casa e già mi vedo con cinque anni di meno di sgobbo sul gobbo, per dirla alla giovane. Pensiero stupendo. Mi costerà, certo, e non poco, ma diciamo che per fiducia infinita nel sistema Stato (teoria) e per un piccolo conto personale, la cosa mi conviene comunque. Ho visioni deliranti dei miei anni contributivi che raddoppiano, triplicano, che diventano quaranta in un sol botto, mentre mangio la pagnocchina mi vedo già in posta a far la fila per ritirare il gruzzoletto mentre mi lamento per il tempo e rompo i maroni ai presenti con delirii da arteriosclerosi galoppante. Bellissimo. Un sogno.

Appunto. Tempo un’ora e da sogno (bello) diventa sogno (orrendo). I cinque anni, università più militare, in un sol colpo svaniscono. Ma no, mi dice quel deretano criminale drizzabanane del ministro, guarda che valgono lo stesso ai fini del calcolo della pensione, solo che non li conteggiamo come anni di anzianità. Resto secco. Ma secco secco. Dunque un anno in cui sono stato obbligato a ottemperare i servizi di Patria, pigliando cinquemilacentolire al giorno, non vale una benemerita cippa. E quattro anni nei quali ho cercato, un minimo, di imparare qualche cosa per poi contribuire per la mia parte allo sviluppo del paese valgono altrettanto. Niente. E il fatto che questa disposizione possa, eventualmente, non passare in parlamento o essere modificata non cambia ciò che provo ora.

E’ ovviamente un messaggio davvero interessante da parte dello Stato: studiate, cari, studiate. E poi qualche imbelle, di solito tardivo, pone la classica affermazione stupita: “Certo che i giovani di oggi non pensano al futuro, non fanno programmi”. Ma vaffanculo, io nemmeno dovrei rientrare nella categoria ‘giovani’, in un paese normale che avesse una classe dirigente poco meno che ottuagenaria o più. Da secco, divento incazzato. E molto.

E’ dunque del tutto impossibile fare un accordo con questo Stato (accordo peraltro favorevole a entrambi, più a lui che a me), i diritti non sono più né acquisiti né acquisibili, non è mai possibile fare uno straccio di programma in questo cazzo di paese, immaginarsi il futuro, magari un minimo costruirlo fin da ora che sono forte di un bel contratto a progetto con remunerazione piuttosto bassina senza nessun tipo di protezione. Bene, proprio bene.
Non mi resta, come da titolo, che portare distruzione e morte – ancora una volta di più – su questo governo vigliacco. Stronzi.

il filipino dream

Vagolavo qualche giorno fa alla ricerca di ghiaccioli quando, fortunato me!, mi sono imbattuto nel punto di ritrovo della comunità filippina romana: la chiesa di santa Pudenziana. Sorprendentemente, non c’erano ghiaccioli e la chiesa, piuttosto bella e antica, non era mica pulita come io avrei detto (pessima battuta a sfondo luogo comune di tipo etnico).

Come che sia io, ignaro visitatore alla ricerca di ghiacciolismi, mi sono imbattuto nel filipino dream, il sogno di possedere una proprietà immobiliare nelle Filippine tra mari brillanti e palme sfrondizie, tra multiproprietà profumate di lusso e piscine schiaffo-alla-povertà. Con pochi soldi, relativamente, un’agenzia immobiliare filippina offre concrete possibilità di investimento immobiliare che, di certo, darà i suoi ricchi frutti.
Bene, sono interessato. Più che altro, ammetto, per il genio che ha scelto il nome:

Ed ecco l’opportuno link. Sonoramente: genio.

e il giudice disse: “bastardi anarchici”

Gian Maria Volontè interpretò Nicola Sacco nel film di Montaldo del 1971 e, quando si trattò di recitare il lungo monologo in propria difesa (“la società nella quale ci costringete a vivere e che noi vogliamo distruggere, è tutta costruita sulla violenza: mendicare la vita per un tozzo di pane è violenza; la miseria, la fame a cui sono costretti milioni di uomini è violenza; il denaro è violenza; la guerra; e persino la paura di morire che abbiamo tutti ogni giorno, a pensarci bene, è violenza“), Volontè si preparò a lungo. Quando si dichiarò pronto, cominciò a recitare l’intera scena, come era solito fare.
Si racconta che dovette interrompersi e ricominciare perché una comparsa, che interpretava un poliziotto alle spalle di Nicola Sacco, scoppiò a piangere per il pathos e la carica dell’interpretazione di Volontè e ci volle un bel po’ perché si riprendesse.
Potere delle parole, dei pensieri (e del magnifico Volontè).

E’ una storia che mi piace ricordare.

i libri della settimana: sette

Sbanfando per il caldone, ma d’altronde è pur sempre agostazzo, vien da leggere all’ombra di un qualsiasi cosa, evitando se possibile di sgocciolare sulle pagine dei libri santi. Esaurita la settimana ferragostana, ora è tempo di pigliare in mano libri nuovi e meno estivi, che impegnino senza dubbio di più il cervello, se non ancora del tutto bollito.
Solo libri buoni e pieni di giusto sapere. Solo libri reali che, con un po’ di fortuna, possono essere reperiti a prestito da un amico o tutt’al più sotto una gamba del tavolo, per raddrizzare. Per una preparazione a trecentosessantacinque gradi, ossia oltre ogni orizzonte culturale possibile. E grazie a mr. E. per l’ispirazione preziosa.

In Olanda uno dei simposii di scienza più importanti di sempre:
1. Atti della seconda Conferenza Internazionale sulla scultura delle patate
(Proceedings of the Second International potato modeling conference)
a cura di A. J. Haverkorte e D.K.L. MacKerron, 1995

Cambiare prospettiva per capire meglio:
2. Versailles. Uno sguardo dalla Svezia
(Versailles. The view from Sweden)
di E. Evans Dee e G. Walton, 1988

Analisi politica ad alto livello (Ballard pre-fantascienza in corsa con l’automobilina di Jarry):
3. L’assassinio di Kennedy considerato come una corsa automobilistica in discesa
(Assassination of Kennedy considered as a downhill motor race)
di J.G. Ballard, 1973

Contrariamente al più probabile death-after-sex, pare che dopo la morte non ci sia solo la vita:
4. Sesso dopo la morte
(Sex after death)
di B.J. Ferrell e D.E. Frey, 1983

E il settimo giorno usò il telefono (tecnologia ecclesiale):
5. La magia dell’Evangelismo telefonico
(The magic of Telephone Evangelism)
di H.E. Metcalf, 1967

Mandrilli e polverine magiche. “Il piacere è il democratico tiranno dei nostri giorni. Sembra che l’uomo debba esistere e realizzarsi unicamente dalla cintura in giù, come se improvvisamente sul mondo si fosse sparsa una polverina magica, capace di trasformare gli esseri umani in un esercito di mandrilli in libertà”.
Come sempre, una nota di saggezza dalla nostra autrice di riferimento.