sempre troppo tardi
(il primo lancio del Corriere era proprio così. Magari ne avesse avuti dieci).
tu avevi un lavoro
Tra le cose che seguo, per visioni veloci e spassose, c’è ‘you had one job‘, ovvero per chi non mastica: tu avevi un lavoro.
Perché, ed è il principio ispiratore della cosa, hai fatto una minchiata, lavorativamente parlando, e l’hai fatta bella grossa.
E ora che ci penso, ne ho una anche io, proprio sotto la mia finestra:
Misteri della mente (mainds misteriis).
nomina sunt conseguenza rerum
Qualche mese fa Microsoft, nella frenesia di dotare windows8 di applicazioni all’uopo, decide di migliorare lo strumento ‘calcolatrice’ e partorisce un’idea non malvagia: una calcolatrice in cui si può scrivere a mano i numerelli e gli operatori matematici: uno + uno + uno, e lui calcola. Fa tre.
Per meglio chiarire il concetto, nel nome dell’app unisce il termine del calcolo e il termine che indica – in un qualche modo – che si può scrivere a mano, ed ecco il risultato:
Qualche chiacchierone italiano gli fa notare l’italica assonanza (perdio, chi è stato?) e Microsoft corregge al volo, adducendo il fatto che nessuno nell’ufficetto parla italiano (qui).
E chiama l’app Kanakku, che in lingua tamil significa ‘matematica’. Peccato che in dialetto crotonese significhi: ‘tua nonna strappa le mutande ai becchini’.
Non diteglielo però, stavolta.
finalmente l’alba
Oggi, dopo tre mesi, è sorto il sole in Antartide. Dopo più di novanta giorni di buio pestissimo (qui l’ultimo tramonto di maggio), gli abitanti della base Concordia hanno finalmente visto l’alba della foto qui sopra.
Non che la temperatura, meno ottanta gradi, sia di molto migliorata, ma se non altro vedono il sole, nel loro semiperenne isolamento. Infatti, nella base testano tra le altre cose gli effetti dell’isolamento sull’organismo umano, anche per vedere se poi agli astronauti gli vengono le bizze omi-suicide, che non è mai bello. Buongiorno, quindi, Concordia. Ben svegliati.
E spegnete quella brutta fumera, dai, che c’è qualcosa sul fuoco che brucia.
la nebbia mmerigana
Non si direbbe ma la nebbia scorre. E pure veloce.
Certo, il timelapse aiuta e a San Francisco la nebbia è chiaramente diversa che qui, che ristagna, ma ciò nulla toglie alla superbellezza di quanto si vede qui:
Qui.
Penguin Random Horn
Nella mia consueta lettura mattutina del Financial Times (la fluttuazione del prezzo del grana boliviano condiziona pesantemente la mia giornata), scopro che con la fusione di Random House e Penguin (un urrah per la seconda, la prima a noi italiani è del tutto ignota) è nata la più grande casa editrice del mondo, un giochetto da quindicimila titoli l’anno in aperta sfida al largheggiare di Amazon. La prima porta in dote il Sudamerica, la seconda l’India e importanti pezzi di Cina.
Bon, grande brutto piccolo bello colossi mah viva copertine Penguin, i pensieri si accavallano con logica, quando mi viene in mente Jim Stanford Horn: non ho idea di chi fosse, se ne è andato pure giovane, porello, ma di certo la scelta per il suo Final Chapter è di quelle che si ricordano. Una copertinona Penguin tutta sua, le note biografiche sulla costola e un apprezzabile tocco d’ironia.
La sepoltura è all’Highgate Cemetery di Londra, lo stesso di Marx per intendersi, e rientra nel genere cimiteriale della lapide-con-libri, pittosto diffuso a tutte le latitudini (un altro esempio nello stesso cimitero) e il cui significato credo sia sostanzialmente “libri uao!”. Chissà se Jim sarebbe contento che la Penguin si sia fusa con gli americani brutti?
A ogni modo, fermo il rispetto per Jim Horn, non posso non mettermi a ridere di fronte al presidente degli amici del cimitero di Highgate, uscito dritto dritto da uno sketch dei Monty Python: The Lord Palumbo of Walbrook. Miledi tuttobbene?
Nazisti mongoli
Oggi Repubblica mi informa che in Mongolia una frangia di neonazisti si oppone all’imperialismo cinese, facendo bello sfoggio di svastiche e coprisedili neonazisti (bisognerebbe farli incontrare con i nazisti gay dell’Illinois, è chiaro). Eccone uno:
Cosa poi ci faccia dietro quella parete di mutande non è dato sapere.
Comunque, un nazista mongolo non l’avevo mai visto.
O, anzi, a pensarci bene bene, eccome se ne ho visti. Eccome.
Sentinella
Fredric Brown è (era) un grande scrittore, non solo di fantascienza, ma in senso più ampio. Non perché scrivesse particolarmente bene, quello no, frasi brevi, aggettivazione scarna, poche iperboli o cadute e, quindi, asciutto, bensì perché è (era) uno dei più grandi inventori di trame che io abbia mai letto. Ed è (era) capace di farlo soprattutto sulla distanza minima, ovvero il racconto brevissimo. Il che mi manda particolarmente in visibilio. Sciapò.
Per chi non vi fosse mai incappato, il racconto Sentinella, con la sua tipica inversione.
«Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame freddo ed era lontano 50mila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento un’agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni, quest’angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, tocca ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano mandato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della galassia… crudeli schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata subito guerra; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie.
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto.
Lontano 50mila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.
E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.
Il verso, la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e senza squame…»
una donna coraggiosa
Non la raccontò come fosse la sua storia, perché non era la sua storia.
Era una storia come ne accadono, mostruosamente, spesso. E se qualcuno vuole pensare a quel marzo 1973 lo faccia, ma non dimentichi tutte le altre storie.
Mi dispiace molto.