Johannes Kepler, Giovanni Keplero per molti, fu astronomo, teologo, filosofo della natura, teorico della musica, cosmologo, matematico, ed è noto per la formulazione delle tre leggi sui moti dei pianeti, leggi che prendono il suo nome.
Nell’Europa del Cinquecento, studiò e insegnò in numerose università, da Tubinga a Graz, divenne astronomo imperiale a Praga succedendo a Tycho Brahe, osservò lungamente la supernova 1604, conosciuta poi come la Supernova di Keplero, ovvero l’esplosione stellare del 1604 che rimase visibile nei cieli europei per oltre diciotto mesi (elementare Watson, se qualcuno ricorda), difese la propria madre da un processo per stregoneria, si mosse con cautela nell’impero diviso tra cattolici e protestanti, infine si trasferì a Regensburg, Ratisbona per molti.
Questa fu la sua ultima casa, in cui morì nel 1630 poverello e in disgrazia. C’era la peste, c’era la guerra dei trent’anni, c’era la fame, c’erano gli integralisti religiosi e poco spazio per la scienza e la conoscenza.
Gli ultimi anni, almeno dieci, devono essere stati duri. Sconsolato, sentendo evidentemente approssimarsi la morte, compose il proprio epitaffio:
«Mensus eram coelos, nunc terrae metior umbras.
Mens coelestis erat, corporis umbra iacet» .
Mi sono commosso. Optando per una traduzione sommaria, si potrebbe dire: «Misuravo i cieli, ora fisso le ombre della terra. La mente era nella volta celeste, ora il corpo giace nell’oscurità». Sic transit.
Fu sepolto in un cimitero poco dopo distrutto dalle devastazioni della guerra, le truppe del re di Svezia stavano invadendo la Baviera, ma la lapide fu risparmiata, la possediamo. Le sue leggi, invece, furono accettate dalla comunità scientifica solo dopo che Newton ne fece uso, quindi dopo la metà del Seicento. Tardi.