L’angolo di visuale è sempre più ridotto, senza il confronto con le altre persone: si dice di possibili tumulti, avvertono i servizi segreti non deviati, si racconta di qualche furto della spesa fuori dai supermercati, chissà se uno o decine?, di sicuro più aumentano le persone, le piccole imprese e le aziende in difficoltà – dato che le entrate sono ferme per molti, me compreso – e più c’è spazio per approfittarne per gente senza coscienza e più c’è spazio per casini, fomentati e non. E poi: newsletter false di richiesta di sostegno economico a nome delle maggiori ONG, finte lettere intestate al Viminale, appese in alcuni condomini, che invitano a lasciare il proprio appartamento, sono episodi o fenomeni più ampi? Difficilissimo dirlo stando davanti a un computer senza poter uscire, la certezza è che ci sono persone talmente miserabili d’animo che manco riesco a immaginare. Lo so, niente di nuovo ma constatarlo di persona mi colpisce e mi fa soffrire ogni volta.
Nel frattempo, nel resto del mondo il virus si sparge senza risparmio, in particolare in USA e Spagna, particolarmente impreparati. In Europa, l’Olanda prende una posizione particolarmente irritante sostenendo il ciascun per sé (è da tempo che lo vado dicendo: la loro non è libertà, le droghe leggere, la prostituzione, è completo disinteresse per gli altri) e Prodi, un ottantenne di classe infinitamente superiore alla quasi totalità dei più giovani datisi alla politica, risponde per le rime, unico o quasi. Bastano alcune timide righe sui giornali che ipotizzano una timida recessione del numero di contagiati (che vuol dire: diminuzione dell’aumento) e la lettura collettiva è ovviamente a proprio favore: «qual è la prima cosa che farai quando potrai uscire?», chiede Repubblica da ieri. Eh no, così non aiutate. I microbi della politica, Renzi, Meloni, dicono bestialità fregandosene delle conseguenze e bisognerebbe ricordarselo, poi. Salvini no, lui va dalla D’Urso e insieme recitano in televisione l’Eterno riposo, vivaddio senza più nemmeno il pudore della preghiera. Schifosi. Nel frattempo, arrivano trenta medici albanesi in aiuto e il presidente albanese Edi Rama fa un discorso encomiabile, per contenuto e modo, perché sa che casa è dappertutto. Ovviamente poi prende il plauso peloso anche di chi, qui, pensa che casa sia solo in una villetta in periferia in pianura padana e poi al bar dice castronerie sugli albanesi.
A proposito di bar: io è dal 7 marzo che non bevo un cappuccino. Più o meno come tutti, ne sono a conoscenza. Mi manca il bar, quel momento in cui tutto deve ancora iniziare e io mi concedo il bancone e, appunto, il cappuccino. È una cosa che apprezzo sinceramente quando la faccio, non ho bisogno di rendermene conto ora: ecco perché mi manca. Come i concerti, le partite di basket, le cene fuori, le zingarate e soprattutto i viaggi. Madonna, meglio che non ci pensi. Perché tra tutte le cose che ripartiranno gradualmente, quelle saranno di certo le ultime. Un treno? Un aereo? Un pullman? Ciao. Mi trovo a guardare le mappe, a segnarmi i posti da vedere, costruire itinerari immaginari: sì, Eisenach, poi Gotha, Erfurt e Jena, perché Weimar la conosco. Comunque, un giretto, impossibile saltarla. Sì, treno regionale perché sono tutte a un tiro di schioppo, diciamo un giorno per una. Beh, poi di sicuro tornare a Lipsia, a vedere la chiesa di Bach, o a Chemnitz, per salutare il testone di Marx. Aaaaargh.
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Tra sogno e realtà
I dati sui nuovi contagi paiono giusto un poco più promettenti e già c’è chi parla di riaprire scuole, fabbriche, esercizi commerciali. Le scuole però – si legge – sicuramente non dal 3 aprile, giorno della scadenza delle misure (governative) attualmente in vigore; per il resto si vedrà. Come al solito, invece di ragionare, molta gente sogna.
Sogna il mare e la montagna, i viaggi e lo shopping, il cinema e i ristoranti, persino il rumore del traffico, lo smog, la calca sul treno e sulla metropolitana. Appena la discesa della curva sarà conclamata, la diga delle limitazioni sarà sottoposta a una fortissima pressione derivante dai desideri (più raramente, anche da autentici bisogni) che finora solo la paura e un po’ di disciplina hanno tenuto a bada.
Speriamo regga, la diga, almeno fin tanto che non si avranno le idee un po’ più chiare. Fin qui, da quel che si può capire, la gestione di una emergenza cui nessuno era veramente preparato non sembra andata così male. Insomma, era lecito aspettarsi molto di peggio. Adesso però se possibile si entra in una fase ancora più delicata e sarà (sarebbe) essenziale tenere la barra diritta e soprattutto non cedere a soluzioni di compromesso (dico di compromesso “politico” in senso deteriore, perché di compromesso pratico, di bilanciamento tra più beni in gioco, lo saranno per forza).
La sensazione, comunque, è che (relativamente) a breve si inizierà a parlare molto meno di epidemiologia e molto più di economia (e di libertà, ma con una proiezione spiccatamente economica). Niente di male, per carità, anche perché tutto sommato di discorsi sgangherati in tema di contagi, mortalità, diffusività, virus e via enumerando se ne sono sentiti più che abbastanza. Temo però che i plotoni di economisti improvvisati che dopodomani riverseranno le loro considerazioni sui social non ragioneranno tanto meglio.
Con una differenza che sospetto sostanziale, però. Mentre il virus, pur non toccando davvero tutti allo stesso modo (gli anziani rischiano molto di più dei giovani, tanto per dirne una), ha finora creato un certo senso di comunità, la questione economica rischia di essere molto più divisiva.
Ogni tanto credo che sarebbe davvero fantastico se si riuscisse a cogliere l’opportunità che questa crisi offre in termini di ripensamento di molte dinamiche consolidate proprio sul piano economico (produttivo e finanziario) e politico (nazionale, internazionale ed europeo). Ma forse anch’io qui non penso, semplicemente sogno.