Ci mancava la Lega e il suo emendamento salva-amministratori (della Lega). La Lega ha provato a liberare i «datori di lavoro di operatori sanitari e sociosanitari» e i «soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria» da ogni «responsabilità personale di ordine penale, civile, contabile e da rivalsa». Attenzione: non i medici ma i datori di lavoro dei medici, non gli infermieri ma i dirigenti delle ATS e delle ASST, in Lombardia proprio tutti tutti di nomina di partiti di destra, Lega in testa. Poi i sindacati hanno fatto casino e bon, emendamento ritirato, ma non sono sicuro che al Senato non sarebbe passato. Evidentemente qualcuno comincia a temere di vedersi rinfacciare le proprie responsabilità nella gestione della crisi e, secondo me, Fontana in Lombardia ne ha ben donde. Per le cose serie, servirà piuttosto pensare già adesso a come proteggere i medici e gli operatori dagli avvocati avvoltoi che cominciano a volare in circolo sulla situazione generale, pregustando succulente cause.
Adesso, dopo le prime settimane di emergenza, cominciamo tutti ad aver bisogno di prospettiva, di un ragionamento sul medio-lungo termine che ci ponga davanti a qualche elemento certo, perché andare avanti senza chiarezza comincia a diventare davvero poco sopportabile. Le domande che sento fare e che mi faccio sono su che tempi ci vorranno, che tipo di riaperture saranno attuate, come e perché e, invece, la gestione della situazione è ancora alla rincorsa, nessuno sa, nessuno dice.
Nuovo decreto, in serata, della Regione Lombardia, che sancisce l’obbligo di mascherina e guanti per tutti quando fuori di casa. Già, ma le mascherine non ci sono. «Sciarpe e foulard proteggono meno? Meglio di niente», dice Fontana ovvero la Regione. In Toscana, medesimo provvedimento che, però, entrerà in vigore solo dopo che saranno consegnate a ogni cittadino le tre mascherine che la Regione ha acquistato per tutti. Colta la differenza? Da una parte c’è un modo di affrontare la cosa insieme, dall’altro il si salvi chi può. Me ne ricorderò, tra l’altro, a cose finite quando deciderò dove vivere i prossimi anni.
Soliti giri di spese per altrui, ormai la situazione nei supermercati fluisce scorrevole in quella che settimane fa sarebbe parsa fantascienza: mascherine, guanti, distanze, misurazioni della temperatura, entrate contingentate, sanificazioni, se qualcuno per sbaglio tossisce senza mascherina sulla verdura si butta tutto e avanti così. Signora mia, ci si abitua a tutto. Però rimane persistente l’abitudine ai giorni della settimana: il sabato sera al supermercato non c’è quasi nessuno. Beh, ovvio, si stanno preparando per uscire, chi è che è così privo di vita sociale da passare il sabato sera al supermercato? Io. Il lunedì mattina, un casino. Inizia la settimana, ci vado presto così poi porto i bambini a scuola e vado al lavoro. Certamente.
Ieri era il 3, il giorno che sembrava lontanissimo ed era il termine di tutta la tornata precedente di decreti del Governo: è arrivato, nonostante la distanza, e avevamo capito tutti che non sarebbe successo alcunché e che tutto sarebbe stato prorogato ben oltre. È che sembrava per davvero irraggiungibile a queste condizioni, non ci volevo nemmeno pensare, e invece l’abbiamo raggiunto e le condizioni, se possibile, sono peggiorate. È quello che mi fa male, il rendersi conto che ci si abitua.
I giorni precedenti:
giorno 27 | giorno 26 | giorno 25 | giorno 24 | giorno 23 | giorno 21 | giorno 20 | giorno 19 | giorno 18 | giorno 17 | giorno 16 | giorno 15 | giorno 14 | giorno 13 | giorno 12 | giorno 11 | giorno 10 | giorno 9 | giorno 8 | giorno 7 | giorno 6
Si stava meglio quando si stava peggio?
Prima tutti a lamentarsi del troppo lavoro, della ripetitività, del traffico, dello stress, del poco tempo per sé. E ora?
Certo, comprendo bene che la situazione anche adesso non è la stessa per ciascuno di noi. La madre divorziata con poche entrate e tre figli a carico che vive in un piccolo appartamento in affitto (nota bene: “rischio d’impresa”, per lo meno rispetto ai figli e al matrimonio) non vive la stessa situazione del ricco scapolo che fuma la pipa nella veranda della sua villa di proprietà con giardino. Però tra questi estremi c’è anche un sacco di gente che di tempo libero, per pensare e per stare in compagnia di se stessa ne ha un bel po’, adesso. Niente traffico, niente rumore, pochissime uscite o trasferte forzate, poco smog, frenesia zero. Almeno per questi frangenti un bel vantaggio, no?
Apparentemente no. Tutti rapidamente a lamentarsi non solo di quel che di positivo prima si aveva e oggi non si ha più (gli amici da abbracciare, le cene al ristorante, le vacanze, le passeggiate in montagna, il cinema, lo shopping), ma anche di tutto ciò che prima si aborriva come espressamente negativo. Leggo di gente che rivorrebbe indietro la ressa, le urla del capoufficio, gli spintoni sull’autobus e il rumore del clacson.
Potrebbe trattarsi di una semplice sineddoche, dove semplicemente si indica la parte (il negativo) per il tutto (negativo e positivo), dando a intendere che nel caso di “vendita a pacchetto” si sarebbe disposti a trangugiare anche quel che prima non ci andava bene pur di riavere l’agognata “normalità”.
In parte è senz’altro così. C’è un pensiero, tuttavia, che mi ronza in testa e che offre una spiegazione ulteriore (non alternativa, semplicemente aggiuntiva) a quest’incapacità di vedere anche gli aspetti comparativamente positivi nella nostra nuova condizione: la gente in compagnia di se stessa non ci vuole stare per davvero. La mancanza di tempo della quale a parole ci si lamenta, dunque, spesso è una benedizione che ci consente di scappare da noi stessi, giustificando così l’evasione da una condizione psicologica che non ci piace.
Forse è anche questo il motivo per cui, anche rispetto a molti degli aspetti che dovremmo apprezzare come positivi di questa pausa coatta, per tanti vale che “si stava meglio quando si stava peggio”.