I conti tornano sempre meno. In Lombardia, più che altro. La mortalità del virus nella regione è grossomodo il quadruplo che nel resto del mondo, Italia compresa e la cosa, si capisce, non torna. A meno di risposte imprevedibili (i lombardi hanno i polmoni più piccoli a causa dell’inquinamento), la risposta dovrebbe essere una sola: i contagiati in Lombardia sono grossomodo il quadruplo di quanto rilevato (o dichiarato). La gestione di Fontana anziché chiarire le cose crea secche nelle quali l’informazione e la normalità si arenano, esemplare il bailamme attorno all’ospedale da campo di Milano Fiera che, adesso, ospita ben tre pazienti, dai duecento (quattrocento, mille!) che avrebbe dovuto ospitare all’inizio. Le conferenze stampa non si contano più, gli autoelogi pure. Visto che non glieli fa più nessuno, par giusto che provveda da sé. Certo, non avere dei dati attendibili è un grosso problema, oltre che un interrogativo altrettanto grosso: progettare le prossime mosse e, soprattutto, la tempistica è molto più complicato e rischioso in assenza di un quadro se non chiaro almeno non nebuloso. Sarei poi curioso di capire, e intendiamoci: non mi auguro il contrario, come mai da Firenze in giù la situazione pare sia così diversa: meno contagi, meno morti, meno ricoveri in terapia intensiva, il rapporto è di quasi 8:1 per i contagi, addirittura di 18:1 per i morti, quella che sarebbe potuta diventare una situazione esplosiva, per fortuna, pare non si stia verificando. Ma perché? Immagino, come sempre nelle questioni complesse, che la soluzione stia in un mazzo di ragioni. Capisco, magari, la minore concentrazione abitativa – e Roma e Napoli non dovrebbero fare eccezione? – o il minor grado di inquinamento o la minore presenza di industrie e luoghi di lavoro densamente affollati, oppure semplicemente essere stati investiti dopo, avendo già preso alcune contromisure essenziali. Il resto, andrà pur spiegato in maniera convincente. E, comunque, ogni spiegazione non depone a favore della condotta lombarda.
Oggi è pasqua o, come io preferisco, il giorno del cosmonauta. Sole, caldo, cielo azzurro che in Lombardia non è affatto cosa scontata. In effetti, al di là dei delfini nei canali di Venezia, questo fermo generalizzato almeno ci sta regalando aria migliore, cieli tersi, giornate di sole con graziosa brezzolina, tutte cose abbastanza normali nel resto del mondo (Ruhr e Mumbai a parte) ma non qui, dove i cieli bianchicci e la polvere nera su facciate e statue sono la norma. Si vedono, addirittura, le stelle e qualche vagolante satellite, che abbiamo osservato in queste sere di calma.
Essendo pasqua, ci siamo organizzati per un calicino in compagnia in cortile, ben disposti in quadranti separati secondo la mappa qui sopra, portando ciascuno da casa propria il bicchiere. Bello che dopo il rigore iniziale ci si è avvicinati, pur mantenendo distanze di sicurezza: qualcuno per affetto, qualcuno per carenze d’udito, qualcuno per abitudine, per fortuna. Piacevole, molto. Poi, insieme alle stelle, abbiamo fatto caso alle auto, tutte ferme da settimane e coperte da una bella coltre di polvere. Oddio, il cambio gomme! Ahah.
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Mitschadenfreude
In questo periodo di confusione, cognitiva ed emotiva, c’è spazio per una gamma piuttosto ampia di sentimenti, di vario segno. Tra di essi, ogni tanto si affaccia anche quella che qui chiamerò, con un discutibile neologismo, Mitschadenfreude.
Coloro che bazzicano il tedesco sanno che Schadenfreude – espressione difficilmente traducibile in italiano – designa la felicità (Freude) derivante dalle (altrui) disgrazie (Schaden).
A mio avviso, lo scenario del covid fa emergere qualcosa di ancora diverso, vale a dire la felicità che deriva dalle altrui disgrazie quando sono anche le nostre: Mitschadenfreude, appunto.
In italiano, la cosa che più ci si avvicina è probabilmente il detto “mal comune, mezzo gaudio”, che però evoca più che altro l’idea del sollievo connesso alla consapevolezza di non essere soli a soffrire di una certa pena, mentre io qui vorrei proprio riferirmi a una sorta di compiacimento maligno.
Macron e Johnson ci prendono in giro perché non sappiamo gestire il contagio? Ben gli sta se anche da loro adesso le persone muoiono a torrenti! La Svezia ci dileggia perché a differenza loro l’Italia è un popolo di indisciplinati? Godo alla notizia che anche lì gli ospedali traboccano! Germania e Olanda non vogliono aprire alla possibilità di condivisione del debito pubblico in Europa? Ho una bottiglia di bollicine già in fresco per festeggiare quando qualcosa di tragico capiterà anche lì…
Raramente è un sentimento pubblico, ma non è raro sentirlo affiorare in conversazioni private, nelle quali peraltro spesso e volentieri si sorvola sulla differenza tra uno Stato, il suo Governo e i suoi abitanti. Anche se magari sono stati Trump o B. Johnson a fare gli smargiassi, la Mitschadenfreude si palesa quando a morire o stare male sono gli americani o gli inglesi, compresi ovviamente quelli che le scelte dei primi non condividono affatto, che le hanno subite o alle quali si sono opposti.
È una Mitschadenfreude che può essere provata individualmente, ma che si manifesta in forma collettiva, con sfumature soprattutto nazionalistiche ma che può adattarsi a qualsiasi tipo di campanilismo. Il bergamasco, insomma, può tranquillamente provare Mitschadenfreude rispetto al napoletano, augurandosi in fondo al cuore che il covid bussi più forte ai piedi del Vesuvio e che colpisca anche lì altrettanto forte come in Lombardia “e poi vediamo come ve la cavate…”.
Va da sé che si tratti di un sentimento cattivello e tutt’altro che simpatico, benché richieda una certa dose di perversa empatia per funzionare. Introduce a livello sociale un meccanismo psicologico che, a livello individuale, scatta nelle persone con scarsa autostima: per star meglio noi, devono stare peggio gli altri.