Eh beh, prima i due metri diventano uno, nei ristoranti, il che assomiglia grossomodo a quello che è sempre stato, poi non passano nemmeno ventiquattro ore che tre esperti di virologia, epidemiologia e igiene delle università di Milano e Pisa dicono paro paro: «Un metro non è sufficiente al chiuso e nelle regioni con più contagi». Ma bene, grazie, a posto così, ci porta il conto per favore? L’immagine più azzeccata finora è quella della mia amica T. che ci paragona a «biglie in un sacchetto gettate qua e là», all’incirca. Perché tu il ristorante lo puoi anche aprire, alle condizioni che preferisci, poi bisogna però vedere se le persone ci vanno, perché alla fine tutto sta lì. Metro più o metro meno, il fatto è che ci sentiamo parte di un salto, nel vuoto o no lo sapremo tra non troppo tempo, e di conseguenza alcuni di noi si sentono spavaldi altri meno, alcuni aprirebbero tutto, forse senza pensarci, altri no, forse pensandoci troppo. Alcuni sentono che i dati non sono sufficienti, non sono confortanti in alcune regioni d’Italia – le solite: Lombardia, Piemonte, forse Liguria – e molti, giustamente, ripongono poca fiducia nelle decisioni alla luce dell’esperienza recente. Chiaro, poi, e qui mi ci metto anch’io, che se qualcuno, come è stato, dice: «bisogna contare sul senso di responsabilità degli italiani» le mani finiscono subito nei capelli e la strizza fa da padrona. È una bella scommessa, forse un azzardo, un certame tra le parti basandosi sulle sensazioni, sicuramente un passaggio pieno di incognite. Domani, comunque, si riapre. Se non ricordo male, perché lo confesso: non leggo i decreti, leggo le sintesi perché alla fine mi interessano solo due o tre cose, da domani si può circolare all’interno della regione di appartenenza senza autocertificazioni e senza motivazioni particolari; inoltre, riaprono ristoranti, estetisti e un sacco di altri esercizi, e infine si possono vedere gli amici. L’importante è rispettare le distanze di sicurezza, non essere in duecento in una stanzona, e portare le mascherine qualora non ci siano le distanze. Bene. Ma un metro? Due? Vabbè, il divario tra decreti legge e prescrizioni sanitarie ormai è piuttosto incolmabile, perché adesso bisogna ripartire, rimettere in moto, fatturare, la situazione è oggettivamente difficile per molti. Come scrivevo qualche giorno fa, se stiamo facendo una grossa cazzata ce ne accorgeremo presto. Se è media, forse possiamo reggere. Si può andare in moschea e in sinagoga. In Germania è ripartita la Bundesliga, il campionato di calcio. Curioso vedere alcune immagini inedite, per esempio i giocatori che esultano senza abbracciarsi o toccarsi (qui sotto), le panchine delle squadre disseminate lungo le gradinate, ovviamente gli spalti vuoti, eccetera. Con meno di 7 nuovi casi nelle ultime due settimane, la Slovenia si dichiara fuori dalla pandemia e in Cina non ci sono morti da Covid-19 da un mese. Speròmm che noi non si faccia sempre quelli diversi.
(Photo Martin Meissner/Pool via Getty Images)
Quei senza ritegno di FCA, ovvero Fiat per capirci, hanno chiesto un prestito alle banche di 6,3 miliardi di euro, dato che le condizioni sono parecchio favorevoli (ah, consiglio, se avete un’attività chiedeteli subito), e li riceveranno se ho ben capito da Intesa Sanpaolo. Va bene. Il problema è che per questo prestito farà da garante lo Stato, il che va un pochino meno bene se FCA poi i soldi non li restituisce. Orlando, dal PD, chiede di conoscere le condizioni del prestito e della garanzia, legittimo, suggerisce che le garanzie pubbliche debbano essere fornite solo per le aziende italiane e asserisce, infine, che le aziende che chiedono prestiti in Italia devono avere sede fiscale in Italia, cosa che FCA non ha, stando in Olanda per ovvissime ragioni, appunto, fiscali ma che starebbe aggirando con la propria controllata italiana FCA-Italy. Apriti cielo. Resta qualche dubbiolo sull’extra-dividendo da 5,5 miliardi per i soci FCA per effetto della fusione con Psa, tra cui la Exor di famiglia Agnelli. Scoccia dargliene 6 e mezzo perché 5 e mezzo siano distribuiti in dividendi, sottraendoli quindi dalle casse del gruppo e pagandoseli con il denaro pubblico, no?
Cosa tocca vedere, compagni.
I giorni precedenti:
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Vino, molto vino!
Stavo ripensando allo “schemino” presente alle pagine 69-70 del DPCM 26 aprile 2020, quello che dovrebbe consentire di capire a quali condizioni si resta nella fase 2, si ritorna alla fase 1, si passa alla fase 3 o alle sue varie anticipazioni parziali.
Rileggendo gli indicatori, per il passaggio da “fase 1” a “fase 2” essi sono: a) stabilità della trasmissione; b) servizi sanitari non sovraccarichi; c) attività di readiness; d) l’abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti; e) la possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena.
A prima vista, potremmo serenamente fermarci qui per capire che, dal punto di vista normativo, altro che ulteriori riaperture da lunedì: dovremmo ritornare dritti dritti alla fase 1. I servizi sanitari non sovraccarichi sono l’unico indicatore positivo di questo periodo, e non a caso sono anche l’unico che ormai viene menzionato. La stabilità della trasmissione c’è in molte regioni, ma sicuramente – ad esempio – non in Lombardia. Sulle attività di readiness non mi pronuncio, perché non ho idea di cosa possa concretamente suggerire questo ennesimo anglicismo, al di là dell’evocare una certa “prontezza” nella reazione. Sulla abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti ci possiamo fare una grassa risata e lo stesso mi pare valga per la possibilità di garantire adeguate risorse in relazione al contact-tracing, isolamento e quarantena. Il tutto si lega al punto ulteriore, teoricamente necessario per passare alla “fase 2b”, vale a dire la capacità di monitoraggio epidemiologico, che mi sembra oltremodo carente, tra l’altro in modo ampiamente uniforme su tutto il territorio nazionale.
Qualche riga più sopra, ho scritto “a prima vista” potremmo fermarci qui. Questo perché è vero che si prevedono una serie di indicatori, ma è anche vero che non si precisa se devono essere raggiunti tutti e tutti completamente. Inoltre, è vero che a pagina 70 del citato dpcm si forniscono anche delle coordinate numeriche per capire come quantificare i vari elementi e capire se si sono raggiunte o meno le varie soglie, ma è anche vero che i dati per calcolare tali soglie dipendono in modo sostanziale dalla qualità, oltre che dalla quantità, delle comunicazioni delle regioni. Inutile dire che se organizzassero un certame per la più brillante “opacità” comunicativa, a vincere sarebbe senz’altro la Lombardia per diverse lunghezze. Ed è anche questa la ragione per cui non c’è mai stato un sito dove verificare giorno per giorno, regione per regione, come saremmo messi in relazione ai vari indicatori, potendo quindi immaginare in anticipo, con un buon coefficiente di precisione, verso quale futuro (eventualmente anche differenziato a seconda del luogo) ci staremmo muovendo. Il risultato, da quel poco che posso intuire, è che le decisioni su come procedere nelle singole regioni, soprattutto quando dovrebbero portare a misure più restrittive di quelle valide a livello nazionale, le prendono autonomamente (salvo, immagino, casi monstre) le singole regioni “con senso di responsabilità”, per citare la formula utilizzata stasera dal Presidente Conte nella sua conferenza stampa.
Vedremo domani come Fontana&Company vorranno regolarsi, anche sulla base delle indicazioni provenienti dal nuovo DPCM che entrerà in vigore da lunedì e i cui contenuti, secondo una cattiva abitudine già ampiamente sperimentata in tutto questo periodo, sono stati semplicemente anticipati, ma non comunicati ufficialmente tramite la pubblicazione del relativo atto (in effetti, abbiamo un nuovo decreto-legge, n. 33 del 16 maggio 2020, ma si tratta di un atto più generale, che definisce soltanto le grandi linee).
In tutto questo Brescia continua imperterrita ad andare malissimo coi nuovi contagi giornalieri (83, peggiore di tutta la regione; Milano ne conta 75, Bergamo 26), ma siccome il significato di ogni dato dipende da fattori ignoti e disomogenei (a partire dal numero delle persone sottoposte a tampone e dai criteri seguiti per effettuarlo) tutto diventa giustamente opinabile e se occorre sacrificabile sull’altare di qualche altro valore. Fortuna che da lunedì ci si può vedere a cena con gli amici così almeno ci bevo sopra (come diceva Mezcal: “vino, molto vino”)!