Mi tocca tornare su Regione Lombardia, la Lega, Fontana, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Provo a essere breve, non garantisco. Come accennato ieri, a un parlamentare del m5s, Ricciardi, che critica la gestione della Lega in Lombardia, il partito di Salvini reagisce fisicamente e quasi lo circonda, minacciandolo in modo tangibile. La reazione a distanza della Lega in Regione non è da meno, si muovono le truppe cammellate e, apriti cielo!, chi osa criticare l’inappuntabile governo leghista lombardo punta di diamante non solo nazionale ma mondiale del governatorismo? Tutto normale, niente di nuovo. Quel che è nuovo, per me, e inaspettato, è che a sostegno delle critiche, legittime e direi non prive di fondamento, mosse da Ricciardi non si è mosso quasi nessuno. Non il PD, che palesemente preferisce non dire nulla se non sul PD stesso, come al solito, non il Corriere della Sera che ha anzi riportato la vicenda con un certo fastidio nei confronti dei grillini, titolando polemicamente «Il M5s attacca la Lombardia» (attenzione: non la Lega, la Lombardia!), non Repubblica, che è impelagata in ben altre vicende e si sta rapidamente svuotando di contenuti, per citare i due maggiori quotidiani milanesi, non la Sinistra lombarda, oserei dire che quasi nessuno ha sostenuto quanto detto dal deputato grillino a parte le solite, piccole, voci critiche. Eppure ce ne sarebbe ben donde. Un po’, credo, è perché non si gradisca essere accomunati alle proteste del m5s, e questo si può anche capire, ma più che altro, mi pare, perché la questione sia più ampia e vada trattata considerando il modello lombardo in sé. La «locomotiva d’Italia», il «miglior sistema sanitario del mondo», la Lombardia che da sola fa il trenta per cento del PIL italiano (la percentuale è a piacere, basta che sia alta), l’eccellenza tecnologica coniugata all’industria, l’artigianato, la moda, i laghi alpini e la Franciacorta, i Longobardi meglio dei Franchi, un popolo che non abbassa la testa e non molla mai con tutta la retorica dei guerrieri che tanto fa presa, tutto quanto fa parte di un’immaginario vero e presunto sulla Lombardia che non appartiene alla Lega ma è trasversale e va da destra a sinistra da Brescia a Varese. Chi attacca Fontana, o Formigoni, attacca i lombardi, gli industriali, le imprese della sanità, i commercianti, chi vuol mettere in crisi la regione vuole mettere in crisi l’Italia, chi attacca Salvini attacca gli agricoltori lombardi. Il modello non va discusso, non va criticato, semmai si può fare dall’interno, cioè lo possono fare i lombardi stessi, ma non chi viene da fuori, chi non è dei «nostri». La retorica del «noi contro tutti» è fortissima nel territorio e non si commetta l’errore di liquidarla come sciocca retorica ultrà dei derby orobici, il modello lombardo è esibito con orgoglio dalla destra moderata che votava Berlusconi e a cui piace meno Salvini, dal centro degli ex democristiani che non cambierebbero residenza con nessun altro luogo al mondo, anche a sinistra vivono nel tronfio ricordo dell’industria milanese, di quando la plastica la inventavamo noi e gli operai scendevano in piazza, mentre le Brigate Rosse erano cosa milanese e tutte le maggiori case editrici a parte una pure. Perché poi di un territorio così che va dalla pianura alle cime più alte, in cui si va a caccia, si scia, si spreme il territorio a piacimento, il sottosuolo non ha nulla da invidiare alla terra dei fuochi e l’aria alle conurbazioni indiane, si nuota nei grandi laghi italiani, si organizzano le prossime olimpiadi invernali, perché Cortina è luogo di villeggiatura milanese, tàac, si produce e si esporta, di tutto ciò non si può che essere fieri, altrimenti si è traditori Giuda. È questa la retorica. E le critiche non sono ammesse, da nessuno o quasi, qui. Lo posso ben testimoniare anch’io che vado dicendo tutto il peggio dei miei conterranei da sempre e che non trovo appoggio da nessuna parte, se non in qualche amico isolato come me. Anche a sinistra, non è ritenuto accettabile criticare il modello, perché qui non ci si ferma mai, si abbassa la testa e si lavora, la religione è quella, si produce e si tira la carretta. Questo si chiama contarsela su, dalle mie parti, ma anche questo non si può dire. Non importa se poi si evadono le tasse, anzi meglio, non importa se si baratta la salute per il fatturato, anzi, non importa se un virus cinese ci rompe le balle e ci complica la vita, chi deve morire morirà e noi si andrà avanti. È la Lombardia che produce la Lega, non il contrario. Un eventuale commissariamento della sanità lombarda, peraltro auspicabile secondo me, non sarebbe accettato da queste parti, sarebbe un sopruso, un’indebita intromissione anche per larga parte della sinistra nella regione, Fontana resterà al suo posto, il disastro non sarà ammesso né riconosciuto, la sanità continuerà a essere smembrata e la Lega vincerà anche le prossime elezioni amministrative, in assenza di alternative credibili.
Non sono stato breve, mi scuso. Avrei anche potuto essere molto più lungo, a dire il vero, quindi passiamo oltre ma è colpa loro che mi costringono a parlarne. Vabbuò, un’ultima nota: il ministro Speranza annuncia di voler bloccare i trasferimenti tra regioni con diversi gradi di rischio, non sbagliato, e in due ore l’indice di contagio Rt della regione Lombardia crolla a 0,5 e il rischio si abbassa da medio a basso. Vualà, se non è magia questa non so davvero cosa sia. Un bel po’ di notizie sono rimaste in arretrato ma ne parlerò domani, magari in rapida successione, ora devo notare che oggi ho preso il mio primo cappuccino dal 7 di marzo. Seduto da solo ai tavolini all’aperto di un bar, ho superato il test della temperatura, ho ordinato e aspettato diligentemente con la mascherina fino a un attimo prima di infilarmi la tazza in bocca, ho osservato con calma la donna al tavolo davanti a me, incinta con sigaretta e senza mascherina, game-set-match, ho cercato di godermi il momento, poi ho pagato due euro, toh, il nuovo contributo silente covid-19, e me ne sono andato soddisfatto della mia nuova vita normale. Il cappuccino? Una schifezza, chissà se è stato un caso o mi sono disintossicato e ho scoperto una nuova verità?
I giorni precedenti:
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Conversazioni collinari
Nel pomeriggio ho fatto due passi in collina col mio amico C., medico del Civile in un reparto di medicina interna riconvertito covid. Le notizie che mi riporta sono impostate a un cauto ottimismo. Le terapie intensive sono a metà della loro capienza ordinaria (5 letti occupati su 10; durante l’emergenza i posti erano arrivati fino a 25 ed erano sempre tutti pieni), i reparti covid praticamente svuotati, l’ultimo caso di ricovero legato esclusivamente al covid risale a tre settimane fa (nel periodo di massimo afflusso, il ritmo era di un ricovero ogni 20 minuti). Inoltre, a partire dalla riapertura del 4 maggio (e soprattutto al weekend successivo, dove erano iniziati i festini privati), non si è ancora verificato nessun percepibile innalzamento dei contagi che portano a un ricovero ospedaliero.
Il tutto può avere molteplici spiegazioni, quindi anche C. non si sbilancia troppo. Tuttavia, l’impressione che nei nuovi casi il virus si manifesti con una aggressività attenuata sembrerebbe prendere piede tra molti medici di differenti “parrocchie” (internisti, virologi, pneumologi, infettivologi), il che, ovviamente, se confermato su larga scala sarebbe di grande aiuto. Estremizzando, se il covid si trasformasse per davvero in una brutta influenza sarebbe gestibile anche qualora mantenesse intatto il suo attuale potenziale di diffusione. Ma per ora così non è e il resto sono solo speculazioni. Certo è che, mano a mano che si va avanti, proprio le zone più colpite possono essere paradossalmente più avvantaggiate perché si giovano di una parziale immunità di massa, legata all’alto numero di contagi già avvenuti (anche se non sempre registrati) e quindi alla connessa diminuzione dei soggetti che possono risultare gli attuali portatori. Quanto al numero sempre alto dei nuovi contagiati, il dato si spiega in parte anche con la quantità enormemente maggiore, rispetto all’inizio dell’emergenza, dei tamponi processati giornalmente: in altre parole, quando oggi leggiamo che a Brescia il numero dei nuovi contagi giornalieri è pari a quello – poniamo – del 23 marzo stiamo comparando dati del tutto disomogenei.
Allora tutto a posto? Nemmeno per sogno, porco giuda! Come conferma C., siamo in pausa, possiamo avere magari un periodo di tregua, ma anche a queste condizioni può bastare molto poco per ritornare al punto di partenza. Inoltre, le conoscenze sul virus sono palesemente ancora troppo scarse per poter fare delle previsioni attendibili, quindi tutto quel che si può immaginare rispetto alla sua evoluzione, ai suoi possibili mutamenti (in meglio o in peggio) resta nel novero delle semplici ipotesi. Quindi, prudenza: distanziamento, mascherine e molta igiene sono il minimo sindacale. Evitare il più possibile i posti al chiuso, evitare come la peste gli assembramenti anche all’aperto.
A questo punto, mentre arranco su una salita della Maddalena, chiedo a C. quando a suo avviso sarebbe possibile, pur con prudenza, recuperare qualche forma di socialità conviviale e inaugurare la stagione delle cene con gli amici. La risposta, rispetto ai ristoranti (al chiuso) è un tantino drastica: mai. Al tempo stesso, per quanto concerne situazioni all’aperto, con non troppe persone e ben distanziate, le cose cambiano: se questo fine settimana e l’inizio della prossima dovessero confermare il trend positivo, allora ci si potrebbe ragionare con una certa tranquillità. Ovviamente C. sarebbe il primo ad ammettere che anche questa è semplicemente una stima un tanto al chilo. Trattandosi di una persona che ha fatto chiudere in casa i suoi genitori per due mesi nel modo più rigoroso, sono portato a credere che non sia un giudizio dato a cuor leggero.