Cominciamo con l’amenità del giorno che ben aiuta a intuire i prossimi sviluppi politici della gestione della pandemia in Lombardia: Italia viva, che è Renzi per chi non è avvezzo, in Giunta per le immunità del Senato non ha votato alla richiesta dei magistrati siciliani di rinviare a giudizio Salvini per la faccenda Open Arms, dando il proprio contributo a respingere la mozione. La motivazione ha un che di opinabile, «Salvini non era il solo responsabile», ma tant’è, non è nemmeno l’aspetto peggiore. Prontamente, Lega e Forza Italia ringraziano votando come presidente della Commissione di inchiesta che dovrà far luce (ahah) su eventuali responsabilità politiche nella gestione dell’emergenza coronavirus in Lombardia tal Patrizia Baffi. Ora l’indovinello: di che partito sarà mai la Baffi? Esatto. Nota già al pubblico per essersi astenuta al voto di sfiducia contro l’assessore Gallera, si è espressa pubblicamente in favore di Fontana più volte, ne riporto una. Ex-PD, ora renziana, ha lavorato pure in una RSA come amministrativa – ma la cosa non avrà alcun esito – e considerando l’affetto e la fiducia manifestate per Fontana e Gallera, sommando il fatto che è eletta dalla Regione in una commissione con i voti della maggioranza, Lega e FI, posso pronosticare senza grandi incertezze un sereno avvenire per i due dementi criminali alla guida della Regione e per il partito. Nel solco della tradizione come piace ai lombardi, già affezionati protettori di Formigoni, compromesso solo alla fine, quando non c’erano più né santi né protettori. Sciocco io a pensare che quindicimila morti sarebbero stati un motivo sufficiente per cercare giustizia.
(Niels Christian Vilmann/Ritzau Scanpix via AP)
Quanto dovrà durare, mi chiedevo, questo minidiario? Ovvero, quali fatti decreteranno la fine della situazione che mi ha spinto a iniziare a scriverlo (dando ovviamente per scontato che l’attuale trend di miglioramento prosegua)? Perché siamo all’ottantesimo giorno e, tolti i primi cinque in cui non ho scritto, siamo a settantacinque giorni filati, o quasi. Non credo di aver mai fatto una cosa per settantacinque giorni, a parte esistere, sono più di tre Tour de France consecutivi, per dire la costanza. La spinta iniziale è stata il pensiero di dover documentare una situazione inedita e inimmaginabile da chiunque di noi, i cui sviluppi erano davvero difficili da ipotizzare ai primi di marzo, e di ricordarne le diverse fasi, perché non era difficile comprendere che ce ne saremmo rapidamente dimenticati. Se mi dovessi attenere al fatto scatenante, e di conseguenza al titolo di questo minidiario, teoricamente dovrei smettere al termine dei «giorni di reclusione» in senso ampio, direi a libertà di circolazione ristabilite. La stessa numerazione dei giorni è a partire all’istituzione della zona rossa in Lombardia, quando i confini furono chiusi e noi dentro, insieme. Potrebbe essere il 3 giugno, quindi, o più probabilmente come da più parti si suggerisce, due settimane dopo. Perché, mi faccio due conti, se la costante del minidiario fosse la pandemia, starei fresco: sei mesi? un anno? due? Chi lo sa quando smetteremo la mascherina definitivamente. Tutti, intendo, perché alcuni già l’hanno fatto, direi. Sì, il fatto potrebbe essere la fine della reclusione, a possibilità riacquisita di andare, che so?, in Norvegia, per dire una possibilità del tutto teorica. In fin dei conti, i dottori e gli infermieri cubani sono tornati ieri a casa, i russi e gli albanesi sono già andati, possiamo dire che la fase acuta è, per ora, alle spalle. Questo naturalmente non significa che non ne parlerò anche dopo, significa solo che – ripeto: se le cose vanno come dovrebbero andare – passerò a una narrazione diversa. E non escluderei che del minidiario ve ne sia un’edizione autunnale, magari ampliata e approfondita, stiamo a vedere. Spero di no, chiaramente, spero di fare il minidiario del fanculolalombardia, io vado in Norvegia. Per dire, che poi magari è Chioggia.
I giorni precedenti:
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“Tamponateci tutti!”
Una delle funzioni di queste pagine è di riflettere su come l’esperienza del covid abbia influito non soltanto sulla nostra quotidianità, sulle nostre vite spicciole, ma sulle categorie con le quali ci confrontiamo col reale. Uno specchio importante di queste ultime, mi verrebbe da dire un residuo – come i pianeti di un sistema solare lo sono della stella che ne è al centro dopo che massa e gravità hanno definito quale essa dovesse essere –, sono i mutamenti, magari anche solo lievissimi, del linguaggio e del suo uso comune.
Sul gergo guerresco abbiamo già detto qualcosa, ma che ne è rimasto oggi? Si parla più di guerra, di trincea, di nemico subdolo? Mi sembra decisamente di no, questa fase è passata. Anche in televisione questo registro militaresco è in crollo verticale. Rimane nei ricordi, questo sì, ma non delle persone comuni – magari quelle che appendevano i tricolori fuori dalle finestre come in passato avevano appeso quelle della pace, o “verità per Giulio Regeni”, per poi dimenticarsene lasciandole sbiadire –, bensì essenzialmente in quelli di medici e infermieri. Come peraltro è giusto, visto che loro davvero hanno avuto una esperienza per certi versi paragonabile a quella, se non proprio di un ospedale da campo, per lo meno della medicina dell’emergenza vera, dove dalla rapidità e dalla puntualità di una diagnosi discende direttamente la vita o la morte di una persona.
Notavo invece come continuino nel loro slittamento semantico, più ancora dei tamponi, i tamponamenti e il tamponare. Essere tamponato, infatti, è rapidamente passato, oltre che da una denotazione molto diversa (prima lo scontro tra due veicoli, oggi un batuffolo tra naso e gola), a una connotazione inusitatamente positiva (fruire di un tampone, infatti, è un privilegio raro e spesso ambito). “Tamponateci tutti!” è uno slogan che oggi potrebbe benissimo essere utilizzato ma che fino a ieri difficilmente sarebbe stato comprensibile.
Paradossalmente, dopo mesi di utilizzo improprio, “distanziamento sociale” potrebbe acquisire pertinenza e nuova attualità. In origine, con questa orrenda formula, si intendeva una distanza di sicurezza (molto variabile a seconda del tempo, del luogo, del decreto e dell’ordinanza) alla quale si doveva stare rispetto al prossimo, ma non aveva alcuno scopo di contrastare la socialità, la cui riduzione era semmai un effetto involontario. Oggi invece, grazie alle recenti polemiche sulla movida, potrebbe davvero – s’intende, paradossalmente – essere qualcosa di voluto, di cercato dalla stessa autorità. Riducete la vostra socialità per evitare di incorrere in più o meno salate sanzioni.
“Quarantena” (ma anche “quarantenare”, nelle voci verbali sia attive che passive) ha trovato una nuova vita e, anche qui, una variabilissima capacità adattiva: ci sono quarantene durate poche ore, come quelle dei vari calciatori (giusto il tempo di essere tamponati), quelle standard di 14 giorni e quelle ad libitum, degli eterni quarantenati in attesa perenne del tampone. (Nota bene: potrebbero anche esserci, per chi ha provato l’ebrezza delle quarantene “volontarie”, le quarantene “di ritorno”, che discenderebbero dall’esito positivo di test sierologico).
Tra gli anglicismi, è stato definitivamente “sdoganato” il lockdown, che ha sbaragliato la concorrenza della “chiusura” o del “blocco” (forse perché si sarebbero dovuti aggettivare). Ormai però, soprattutto a sentire le opinioni degli assessori lombardi, il termine è definitivamente compromesso e fa parte del passato, al pari di Behemot e Leviatano.