minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 88

Prima loro. Complice la ripresa e complice la festa della Repubblica, è tutta una gara a conquistarsi spazi di visibilità a tutti i costi e alle spalle di chi capita, dai mentecatti in corteo a Roma, opposizione mista (ancora non riesco a credere di aver sentito il discorso sulle iniezioni di mercurio e l’irradiazione del 5g), e a Milano, accozzaglia chiamata gilet arancioni, a chi in questi mesi ne ha azzeccate ben poche, vedi Sala più sotto che si fa scattare una foto veramente idiota, alle nuove stelline dello spettacolo, primari assetati di notorietà che lottano contro virologi pacati, insomma liberi tutti, le gabbie sono state aperte. A fronte di ciò, Mattarella che il 2 giugno si presenta al cimitero di Codogno si erge a una statura inimmaginabile, dato il contorno di nani bagonghi: il senso dello Stato e la rappresentazione della Repubblica, nelle proprie manifestazioni più alte, che si pongono con rispetto di fronte alle vittime e indicano la strada da seguire. Ora, io sono tutto fuor che un fan delle alte cariche e delle celebrazioni pubbliche ma stavolta devo ammettere che la presenza e il senso politico del Presidente sono stati sommi. A far da contrasto ancor di più il contesto reale, là fuori, fatto di baccano. A sottolineare ancor di più certe scelte, lo stesso giorno Mattarella ha nominato 57 nuovi cavalieri della Repubblica (l’onorificenza che viene attribuita a «uomini e donne che si sono particolarmente distinti nel servizio della comunità») tutti distintisi durante l’emergenza della pandemia. Medici, medici volontari o tornati dalla pensione, autisti, anestesisti, infermieri, operatrici del 118, operatori di vigilanza, carabinieri, alpini, cassiere del supermercato, tassisti, rider, studenti, ristoratori, addetti alle pulizie, volontari in genere, farmacisti, industriali, fotografi, cooperanti, gente che in generale ha usato la testa. E nemmeno un chiacchierone, un governatore di regione, un parlamentare assenteista, un generale, un virologo improvvisato, un runner, un panificatore casalingo, un cantante da balcone, un fascista, un complottista, uno degli «andrà tutto bene», un assessore.

Ancor più del solito, trovo sia necessario cercarsi le buone compagnie e tralasciare gli altri, che occupano giornali e social in predominanza. Le persone inutili dal punto di vista del progresso della comunità fanno molto più rumore. E ora io. Fedele alla mia funzione di servizio, ho installato «Immuni», finalmente l’app per il tracciamento. Non l’avrei fatto, penso, se non avessi questo minidiario e non avessi l’incombenza di documentare un minimo questo periodo. O forse sì, alla fine sono curioso. Comunque, installata nonostante al momento funzioni in sole quattro regioni, nelle altre, tra cui la mia, è solo in test. Vabbuò. Il primo scivolone è sull’immagine di presentazione, una mamma alla finestra con infante in braccio e un uomo, si presume il papà, che lavora al pc in smart working. Bene, nessun luogo comune, sono seguite polemiche e nuove immagini, più sbarazzine. Mai nessuno che o ci pensi al momento o, addirittura, nemmeno idei a monte questo tipo di rappresentazioni trite? No, pare di no, tocca sempre iterare all’infinito. L’app funziona così (banalizzo): attribuisce a ogni utente un codice casuale, peraltro che dovrebbe cambiare di frequente, e registra gli altri codici casuali dei telefoni con cui entra in contatto; qualora una persona si scopra positiva, con l’aiuto di un operatore sanitario può dare comunicazione in modo crittografato al server che tiene in memoria tutti i codici e attraverso quello dare una comunicazione a tutti gli utenti entrati in contatto. La cosa interessante è che grazie all’utilizzo del bluetooth l’app è in grado di valutare la qualità del contatto tra le persone – durata e distanza – e qualora le due variabili indichino l’improbabilità di un contagio (ci siamo incrociati per dieci secondi a cinque metri), tralascia la segnalazione. A parte la dichiarazione di partenza («L’app non raccoglie e non è in grado di ottenere alcun dato identificativo dell’utente, quali nome, cognome, data di nascita, indirizzo, numero di telefono o indirizzo email») per cui serve un atto di fede, l’installazione non richiede informazioni ed è rapida. Per il buon funzionamento, il bluetooth dev’essere sempre acceso ma posso dire per mia esperienza diretta che non si apprezza alcun maggior consumo di batteria (usa il Bluetooth Low Energy che consuma niente) né consumo di dati in uscita (qualche mega per i codici crittografici) né carico di utilizzo del processore del telefono. Tutto ciò è bene. Anche la comunicazione, al netto di qualche scivolone, è chiara e, cosa che mi fa piacere, garbata: «Per favore, fai la tua parte seguendo le raccomandazioni, anche se pensi di non essere contagioso». Mica poco. Naturalmente, e questo è l’aspetto generale che c’entra poco con l’app in sé, mi chiedo cosa farò se mi dovesse arrivare – e spero accada per dovere di cronaca ma non dal punto di vista personale – una notifica di aver incrociato significativamente una persona positiva al covid-19: sarò ligio, sentirò il mio medico e mi chiuderò in isolamento? Farò un po’ finta di niente e un po’ no? Disinstallerò «Immuni» e reinstallerò «PornHub»? Scherzo, non l’ho mai disinstallata.

Ora, ancor più io, perché è stata una giornata con diverse vicende personali. Non ne vorrei parlare, perché la circostanza è fonte di dolore per persone a me care e, di conseguenza, lo è anche per me, e poi credo molto nel pudore dei sentimenti e dei fatti ma lo farò al minimo e solo per raccontare ciò che di utile vi può essere in chiave di racconto di questo periodo di pandemia, sperando di non essere indelicato: sono stato a un funerale. Una persona cara di una persona a me cara. I posti in chiesa, come immaginavo, erano dimezzati, con tanto di bolloni incollati sulle panche, e tendenzialmente le persone hanno cercato di mantenere le distanze prescritte. Ciò, ovviamente, non è stato possibile in determinati momenti della funzione e ancor più al momento dei saluti di conforto, per cui è stato più forte il desiderio di stringersi le mani e ancor più, con alcuni, di abbracciarsi. E per fortuna che è stato così, sarebbe stato disumano non manifestare anche fisicamente la vicinanza e l’affetto. Al termine della funzione abbiamo pensato di stare un po’ insieme e, come penso sia giusto, fare un brindisi per celebrare la persona scomparsa, che apprezzava lo stare insieme e il bere un bicchiere in compagnia. Anche in questo caso non sempre abbiamo osservato tutte le prescrizioni ma, anche qui, direi per fortuna che non è accaduto. E, visto ciò che è accaduto nei mesi scorsi, ci si deve addirittura consolare del fatto che sia stato possibile celebrarlo, il funerale. Molti non ne hanno avuto possibilità.
In serata, rientro in autostrada e ci coglie, noi automobilisti in transito nella bergamasca, un acquazzone potente con grandine – il giorno prima pure e a Desio hanno portato via il ghiaccio con le ruspe – al punto che accostiamo in molti al ciglio della strada, meglio se sotto un cavalcavia. Poco prima di arrivare mi chiama il mio amico di pizza e mi propone, appunto, una pizza. La proposta suona strana perché non la sento da tempo, fa effetto, mi fa piacere e stasera ancor di più, dopo la giornata ho voglia di stare con le persone. Siamo tranquilli, il posto ha i tavoli all’aperto, quindi distanze e precauzioni in osservanza. Poi succede, ovvio, che appena seduti il temporale di prima ci raggiunge e ci tocca sederci dentro. Per cui: a parte la temperatura all’entrata, il gel e i camerieri con le mascherine, dentro è tutto esattamente come al solito. Uguale. Come uguale è il piacere di mangiare insieme, di raccontarsi com’è andata, di assaggiare la prima pizza da febbraio, di provare a vivere normalmente. Se sarà una cazzata, vedremo, godiamoci il momento.

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Un commento su “minidiario scritto un po’ così dei giorni di reclusione causa cojonivirus: giorno 88

  1. Memento mori

    A volte può bastare anche la Digos per realizzare, almeno in parte, qualcuno dei nostri desideri. In questo caso, si tratta della denuncia effettuata a carico di Nicola Franzoni, simpatico livornese esponente del “Fronte di Liberazione Popolare” e l’organizzatore della cosiddetta “Marcia su Roma” (ogni riferimento a fatti storici è puramente intenzionale) coronata ieri negli insulti a Mattarella e nel gesto, celebrato nella miglior tradizione italica della critica culturale “alta”, di pisciare sul muro di Palazzo Chigi. Siccome il genio ha pensato bene anche di vantarsene, gli agenti della questura prima gli hanno sequestrato cellulare e tablet, poi gli hanno notificato un foglio di via per due anni da Roma, e contestualmente lo hanno denunciato per i reati di vilipendio alla Repubblica e alle istituzioni, apologia di fascismo, istigazione a disobbedire alle leggi, atti contrari alla pubblica decenza e manifestazione non autorizzata, oltre che per violazione della normativa anti-covid. Devo ritirare almeno in parte quel che scrivevo ieri sulla mia possibile intervista al Questore di Roma. Forse si poteva fare di più complessivamente, soprattutto nella gestione degli assembramenti, ma grazie, Carmine Esposito: non solo mi hai dato un’emozione, ma hai anche trasmesso un messaggio che evidentemente, di questi tempi, giova ribadire.
    Da oggi gli italiani potevano spostarsi tra le regioni e lo hanno fatto prontamente. File in autostrade e ai traghetti, alle frontiere e alle stazioni. Ok, va bene: lo si può fare ed è giusto che, volendo, lo si faccia. Mi domando però: visto che fino a ieri si potevano fare le stesse identiche cose a patto che fossero motivate da esigenze di lavoro, di salute, di rientro al proprio domicilio o residenza, oltre che per improrogabili necessità, quelli che si sono mossi oggi vanno tutti in vacanza o a trovare gli amici in altre regioni? A me pare improbabile, ma del resto non mi riesco a spiegare la cosa altrimenti: misteri della psicologia di massa.
    Oggi, com’era prevedibile, i dati iniziano a risentire dei riconteggi dei giorni scorsi (anche se da ricontare c’è ancora parecchio: quasi duemila casi non conteggiati) e la Lombardia segna il 75 % dei nuovi contagi. A guidare la volata ci sono, ancora una volta, Brescia e Bergamo, rispettivamente con 77 e 51 nuovi casi proprio nel giorno in cui moltissime città vanno finalmente a zero. Ma ovviamente del dato non si parla, tantomeno tra i bresciani, se non i soliti pessimisti a oltranza, cocciutamente usi a iterare gli stessi ragionamenti per il solo fatto di non averne avuto una qualche smentita logica o empirica.
    In Europa c’è casino praticamente su tutto, a partire dalla riapertura dei confini dove ognuno sembra fare quel cavolo che gli pare, dimenticando bellamente che la libera circolazione delle persone era (notare l’imperfetto) uno dei pilastri dell’Unione, la quale ad oggi – come unità politica – continua a risultare non pervenuta. Se dovessi sbilanciarmi in un pronostico, dal 15 giugno dovranno riaprire praticamente tutto e per tutti; non perché sia necessariamente una soluzione di buon senso (perché, a fronte di situazioni fortemente differenziate a livello locale, non lo è); non per ragioni (che pure ci sono) di uguaglianza e di difficoltà pratica nel discriminare una volta che i confini sono riaperti; tantomeno per ragioni di solidarietà e di unità (che proprio zero); ma perché sennò, con l’estate alle porte, le compagnie aeree e di navigazione rischiano di andare definitivamente a picco, e questo dovrebbe mettere un po’ tutti d’accordo (inclusa la Grecia, che a mio avviso mica ce l’ha con gli italiani, che lascerebbe pure entrare volentieri, ma vuole proporsi come meta italian free al resto della sua clientela).
    Sempre a livello internazionale è da registrare il mezzo passo indietro del responsabile della politica sanitaria svedese. Atteso che il Paese è, tra gli scandinavi, quello che ha riportato i risultati peggiori, la dichiarazione è che “si poteva senz’altro far meglio, magari una via di mezzo tra il modello svedese e il lockdown del resto d’Europa”: come direbbe Woody Allen, è l’ammissione parziale del secolo. Del resto, quanto a dichiarazioni, batte tutti Bolsonaro, il quale, nel rispondere a una donna che gli chiedeva conforto per i moltissimi lutti nel Paese, risponde: “mi dispiace per le vittime, ma moriremo tutti”. E noi qui a preoccuparci…

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