Se devo pagare le tasse, allora mi ritengo libero. Voglio dire, ho per le mani gli f24 dell’IMU e della TASI da pagare entro il 16 e mi dico che siamo tornati alla normalità, nessuna proroga, quindi tutto come una volta. Certo, non è che di soldi ne entrino molti, anzi, diciamo che per testare con efficacia il senso monetario del mio lavoro dovrò aspettare dopo l’estate, temo, ma se le tasse e le scadenze sono tornate a regime allora considero che anche tutto il resto lo sia. Se no, non vale. Quindi, se tasse allora anche viaggi, cene, amici e concerti, mi pare un patto onesto. Consideratevi vincolati. Che non sia chiaro a nessuno cosa succederà nei prossimi mesi mi pare acclarato, l’intervento di Bruce Beutler, premio Nobel per la Medicina 2011, lo dimostra: «La popolazione non è così vulnerabile come all’inizio, quando nessuna di queste misure era stata intrapresa. Questo è vero, anche se attualmente solo una piccola percentuale della popolazione è stata infettata. Ma tutto ciò mi porta a pensare che non ci sarà una seconda ondata». Mi piace osservare, peraltro, e questo minidiario serve anche a quello, che ben poche delle previsioni lanciate nel mucchio negli ultimi tre mesi si sono avverate, sarà la vicinanza con il papa, fatto sta che a molti piace pontificare, più che altro a sproposito e senza elementi plausibili. Qualche considerazione che io ritengo utile: come si convive con una pandemia? Bella domanda, ovviamente come stiamo facendo ora anche se non è detto che tutte le nostre strategie siano le più efficaci, più che altro perché non suffragate da evidenza scientifica, piuttosto da quella empirica dei reparti di terapia intensiva in questo momento. In attesa del vaccino, che ormai è il mantra che ci piace ripetere, mentre io credo di più nell’esperienza medica che sarà in grado di curare con efficacia l’infezione, evitando almeno la degenerazione in forme gravi, esistono alcune strategie più utili di altre, per gestire la propria vita ai tempi del covid-19. Eccole. La prima strategia richiede alcuni condizionali, purtroppo: prestare attenzione a come procede la pandemia nel luogo in cui si abita, osservando l’andamento dei dati di contagio. Abitare in un luogo in cui il contagio ancora procede richiede, com’è intuitivo, più attenzione rispetto ad abitare in un posto in cui l’infezione non c’è. È chiaro. È però altrettanto chiaro che per chi vive in Lombardia tenere d’occhio i dati non è operazione semplicissima, perché come vediamo da ormai tre mesi arrivano, non arrivano, si contraddicono, sono aggregati, non lo sono, a volte sono la somma di giorni precedenti, a volte no. In teoria, per chi non vive in Lombardia, due buoni indicatori dell’andamento sono la percentuale dei tamponi positivi sul totale e la curva dei contagi. Nel primo caso, se il dato si attesta per qualche settimana sotto o attorno il cinque per cento è buona cosa, significa che la pandemia è sotto controllo. Nel secondo, basta osservare la curva e vedere se è in salita o in discesa. A seconda di questi due indicatori, basta adattare la propria condotta, allargando o stringendo le occasioni di libertà che ci si concede. Una seconda buona strategia è, come ho detto qualche giorno fa, frequentare anche in modo stretto alcune persone simili a sé, per comportamento, prudenza e abitudini, e limitare questo tipo di cerchia a un numero abbastanza ristretto. Va da sé che anche le persone frequentate devono attenersi al medesimo principio. Questa strategia dà ottimi risultati ed è particolarmente utile per coloro che hanno figli piccoli, permettendo loro così di frequentarsi con assiduità riducendo il rischio al minimo.
La terza è bilanciare le occasioni di rischio. Andare a una tombolona in una RSA ha un certo grado di rischio, correre in montagna un altro, dormire una settimana in tenda con un plotone di esploratori ancora un altro. Come se si fosse a dieta, quando ci si prende un rischio maggiore, perché magari tocca andare dal medico, in ospedale a fare un esame, in un ufficio a rinnovare la patente, allora è buona cosa ridurre le altre occasioni di esposizione per un po’ di tempo, bilanciando come dicevo il rischio complessivo e spalmandolo nel tempo. Poiché ci si ammala solo quando si riceve una certa dose di particelle virali, e questa è la quarta strategia, riducendo il tempo di esposizione si riduce drasticamente anche il rischio di contagio. Non vi sono dati certi, perché l’esposizione dipende da persona a persona, da chi ci si trova davanti, da quanto sia la sua carica virale, dalle condizioni dell’ambiente eccetera, ma il fatto inequivocabile è che se invece di stare dal barbiere in una stanza chiusa per un’ora vi si sta un quarto d’ora, è molto più improbabile ammalarsi. La quinta, che pare la più banale e lo è ma è anche la più facile da dismettere, è di continuare a usare le precauzioni efficaci in questi casi, distanziamento, mascherina, lavarsi le mani, evitare se possibile il contatto fisico, evitare le superfici in luoghi pubblici e così via, le abbiamo imparate a forza in questi cento giorni. Vualà, un bel corimbo di suggerimenti utili.
I giorni precedenti:
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E sticazzi
Oggi, nonostante il mal di schiena, mi sono imposto di andare lo stesso a camminare ed è stata una buona idea. Avanzando in modo necessariamente più lento ho potuto godere ancora di più dei regali che la natura ci porge in questo periodo: le fasce di verde intensissimo, il giallo-arancione dei gigli, i profumi intensi dei bianchi corimbi di gelsomini, tanto per citare le prime cose che mi sono rimaste più impresse.
Anche negli incontri con le altre persone, per strada o sul sentiero, si inizia ad avere più automatiche le misure: quando fermarsi per mettere la mascherina quando uno già non la indossa, dove sostare per far passare in sicurezza gli altri avventori, come e quando salutarsi. Al netto dei soliti, irrimediabili cretini c’è maggiore scioltezza e quindi, nel complesso, anche maggiore la reciproca tolleranza viene più facile. Bene così.
Il tasso di trasmissione (Rt) aggiornato alla settimana terminata il 7 giugno, resta abbastanza alto in certe regioni, tra cui ovviamente la Lombardia 0,90 (la settimana prima era 0,91), ma non tanto da superare la soglia di guardia dell’unità, che segnalerebbe una progressione non più controllabile. Resto dell’idea che qui sarebbero disposti a barare pur di tenerlo sottosoglia, ma intanto noi siamo scesi (0,1!) mentre in Emilia-Romagna si passa da 0,58 a 0,75 e addirittura i sordidi pugliesi sono passati addirittura da 0,78 a 0,94, ma nessuno dice niente su queste vere vergogne italiane.
A proposito di vergogne, si è tenuta l’audizione di Conte da parte dei PM di Bergamo (non ci sono ancora indagati ma il reato ipotizzato è l’epidemia colposa), ai quali il Presidente del Consiglio parrebbe aver detto che la decisione di non istituire la zona rossa in val Brembana sarebbe stata una sua decisione; bene, ora sappiamo chi l’ha presa e se ne assumerà quindi la relativa responsabilità politica. Più o meno, insomma: Conte infatti dice anche di aver assunto tale decisione secondo il principio della “massima cautela”; ecco, non ho il suo manuale, ma qui non lo seguo più. Sarà che mi manca la visione d’insieme. È un po’ come quando sento parlare di “stati generali”: c’è chi vede la magia di grandiose consultazioni mentre io penso subito alla ghigliottina.
È di oggi l’annuncio per cui gli aerei potranno viaggiare con i posti a pieno regime: si starà seduti uno di fianco all’altro con mascherine e niente aria di ricircolo. Ormai registro questi annunci come mere notifiche, e noto che simili comunicazioni non sono più accompagnate nemmeno per sbaglio da studi scientifici i cui risultati siano stati resi pubblici. Prima almeno ci si poteva stupire dell’abbassamento da due a un metro della distanza di sicurezza nei ristoranti, adesso il gioco è non farti neppure sorgere il dubbio: questa è la misura, sarà sensata per forza.
La notizia del giorno è sicuramente quella del Ministro della Salute Speranza che firma l’accordo europeo per il vaccino “sviluppato a Oxford e prodotto anche in Italia”, di cui si prevede entro l’autunno la somministrazione per 400 milioni di cittadini europei. Al che, in romanesco, mi verrebbe subito da dire: me cojoni… Ma perché la notizia non è data a caratteri cubitali su tutti i mezzi d’informazione? Beh, la risposta viene leggendo l’articolo, dove la stessa azienda farmaceutica che sta producendo il vaccino, AstraZeneca, ammette che “potrebbe non funzionare”. Ah ecco: e sticazzi…