Speciale Venezia. Dopo cento giorni di proibizione e di pensamento, vado in gita e dove se non nella città che più di tutte, o quasi, ha a che vedere con le pestilenze e i contagi? Venezia, sicuro, la città che inventò i lazzaretti. La città in cui i mercanteggi erano tanti e tali che ogni giorno arrivava un tanghero da Bisanzio o dalle Cicladi o dall’Egitto con una tosse strana e un bubbone di là da venire nell’arco di un paio di giorni. Oltretutto, mi hanno detto, è un bel posto. E allora, treno. E naturalmente il mio amico C., gran conoscitore di Venezia e di cose in generale, che è pure bravissimo a dare una struttura e un perimetro ai miei pensieri occasionali. Gita in compagnia, avanti. Sono persino emozionato all’idea di prendere il treno, lo dico pure la sera prima agli amici, e racconto il viaggio verso Venezia come avrei descritto, più di tre mesi fa, un viaggio intercontinentale. «E il treno? Ci racconterai com’è il treno?» mi chiedono in anticipo gli amici, ma certo, l’esperienza dopo tre mesi di lockdown è talmente lontana e dimenticata che la curiosità è contagiosa. Il viaggio è pazzesco, fa caldo e i corpi sono accatastati nei vagoni con un puzzo orrendo fatto di morte e disinfettante, i controllori hanno i campanelli dei monatti al collo e le maschere a becco dei medici della peste, a ogni stazione ci vengono gettate addosso palate di calce… Ahah, occhei: il treno è occupato per metà, i posti disponibili sono in diagonale, uno sì uno no, con degli adesivoni rossi per avvertire, e Trenitalia con intento di rassicurazione consegna una borsina alla partenza con una lattina (lattina?) di acqua, una bustina con dentro mascherina, guanti (ah, troppo tardi, maledetto OMS che adesso li sconsiglia), gel per le mani e, infine, un poggiatesta monouso. Che non voglio mica prendere il covid-19 dai capelli di qualcun altro. E poi tanto non lo mette nessuno. La mascherina è un assioma per tutto il viaggio, il controllore lo ricorda, ma anche qui c’è chi la tiene e chi un po’ no. Le sbandierate misure di controllo dei biglietti contactless sono effettivamente messe in campo, cioè il biglietto cartaceo o il telefono con biglietto elettronico li tieni in mano tu e il controllore guarda, senza toccare. Ah, la tecnologia. Il vagone bar è chiuso, passa un signore con un carrettino e non grida «Gelati». Là dove non arriva la pestilenza ci arriva Trenitalia: ogni vagone ha una porta per la salita e una per la discesa, per non creare assembramento. Ma la porta da cui dobbiamo salire noi non va e indovina? Saliamo da quella della discesa del vagone a fianco, assembrandoci, scambiandoci fluidi corporei al punto che sembriamo una manifestazione della destra il due giugno. Ogni volta che un treno ferma in stazione muore un epidemiologo. Finalmente, Venezia. Ed è una vera favola.
Normalmente, a Venezia bastava girare l’angolo rispetto alla fiumana di turisti, compatta e sagomata per la larghezza della via, e ci si ritrovava in calli semideserte, tranquille e silenziose. Certo, poi bisognava stare attenti ogni volta che toccava intersecare di nuovo le vie più trafficate. E San Marco si saltava per troppa e sicura ressa. Oggi non è così: oggi sembra una città normale. Sembra, anzi, Venezia quei rari giorni di agosto, verso le due del pomeriggio, quando il sole a picco e il caldo hanno rispedito a casa o in albergo la maggior parte delle persone e in giro ci sono solo qualche coppia di giapponesi e qualche matto sparso. Si cammina tranquillamente, non c’è coda da nessuna parte, si può prendere il traghetto-gondola per il mercato del pesce avendo davanti tre persone, ci si può fermare senza essere trascinati dalla corrente. Si può andare dappertutto, con calma, ci si può sedere ovunque e contemplare. Non sono rare, anzi, le calli completamente deserte e i canali in cui non passa nessuno. Quelli che passano sono abitanti, muratori con sacchi di calce, postini, qualche fornitore vario, pare proprio una città come le altre. C’è il sole, fa caldo, l’aria ha l’odore robusto della laguna, quel misto di fango e acqua, ci sono pochi rumori. In Veneto, la mascherina non è obbligatoria all’aperto, a meno che non vi sia assembramento, però ce l’hanno quasi tutti. Non è male, però, poterla togliere per qualche minuto ogni tanto, per dare di naso e di bocca appieno. Quando incontriamo un posto che ci piace, ci fermiamo e prendiamo le ombre e i cichéti, con quei meravigliosi bicchierini di vetro che una volta avevano tutti, e che se cadevano non si rompevano. Mi tocca ripetermi ma è una dimensione veneziana nuova: niente coda. Si entra e ci si siede. O si sta sulla panca fuori, consuetudine pre-covid-19. Beh, bello.
Vagoliamo, tutto è più calmo. Per me è bellissimo, ovviamente, immagino che per un commerciante di gondole da mettere sul tvcolor l’idea sia un’altra, capisco, ma io mi godo il momento e la situazione. Il ghetto (ah, anche quello hanno inventato qui, oltre ai lazzaretti), Cannaregio, la tomba di Tintoretto alla Madonna degli Orti e il suo colossale Giudizio Universale, il mercato del pesce, la Quirini Stampalia, San Francesco della Vigna, Castello, l’Arsenale e le case popolari subito dietro, le Case Nuove, e poi tutto il resto. Mi duole dirlo, non ci sono più i delfini e i polpi nelle acque dei canali di Venezia. È tutto passato. Durante i mesi del lockdown non passava giorno in cui sui giornali non arrivasse una foto o un video delle cristalline acque di Venezia, nelle quali, in un crescendo parossistico, venivano via via avvistati polpi, delfini, cavallucci marini, sirene, unicorni, arcobaleni, poseidoni e avanti tutta. Ovviamente, buona parte dell’effetto era dovuta al fatto che mancavano le barche e, di conseguenza, il fondo limaccioso aveva avuto il tempo di depositarsi, rendendo trasparenti le acque. Non meno inquinate, anche se ovviamente settimane di nafta e scarichi in meno avranno fatto la loro parte, ma insomma mi sarei comunque guardato dal berla. Oggi no, i canali sono abbastanza normali per colore e odore ma non per frequentazione, davvero ridotta. A Campo San Giacomo dell’Orio, un bello spazio con addirittura delle piante che abbiamo scoperto oggi, fa addirittura caldo, sembra di essere davvero in vacanza. Beviamo qualcosa per celebrare la giornata, ci gustiamo il primo assaggio di estate come la conoscevamo e andiamo al treno.
Ci sono stati momenti, molti, durante la reclusione nei quali ci dicevamo che sarebbe stata lunga e nessuno di noi, dicendolo, sapeva quanto lo sarebbe stata. Dicevamo lunga ma speravamo corta. Ma cosa vuol dire lunga o corta? Settimane? Mesi? Oddio, anni? Se, come ho già detto, a fine marzo mi avessero detto che a giugno sarei stato in un campo a Venezia a guardarmi attorno beato, beh, mi sarei tranquillizzato parecchio. Sta andando bene, per fortuna, e di conseguenza bisogna approfittarne. Sia perché abbiamo passato dei periodi brutti, chi più chi meno ma complessivamente tutti i lombardi, piemontesi, veneti e liguri, almeno. Sia perché non sappiamo come andrà e, nel dubbio, meglio la gallina di oggi. Sia perché, e qui tertium datur, fa bene: fa bene al morale, fa bene alle gambe, fa bene alla testa e agli occhi. Per cui il mio consiglio è: andate a farvi un giro. Anche breve, come il mio, poche ore, in un posto al di là della regione o della provincia, che però sia gita. Una gita con aria di vacanza. Fatelo, non riprendete a lavorare, ostiare per un parcheggio e a pagare le spese condominiali e basta, fatevi un girello, andate a camminare lungo l’Adda o sul lago, uno qualunque, o a Venezia, appunto. Magari, come è capitato a me, in un posto che vale la pena vedere ora, che le condizioni sono ancora anomale, così da vederlo come, speriamo, non capiterà più. Durante le notti di quarantena, quando mi chiedevo quando sarebbe stato possibile di nuovo muoversi e vedersi, chissà perché ho pensato spesso a Venezia, alle calli, ai canali, e mi veniva da camminarci con l’immaginazione. Non so perché, non sono nemmeno un appassionato profondo o un conoscitore attento. Però capitava e, quindi, mi sono detto che ci sarei andato appena possibile, e così è stato. Oggi sono contento di averlo fatto, mi ha fatto bene e mi ha dato tranquillità e serenità, mi ha ubriacato di bellezza, come al solito, e mi ha mostrato un aspetto che non avevo mai visto in quella città, la normalità. Quella normalità di cui, tutti, abbiamo ora così bisogno. Fatevi un regalo, fate una gita.
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