Alla fine, mi rendo conto, questo mio breve giro ha assunto una direzione geografica: seguire il corso del Reno. Preso a Basilea, costeggiato prima in Francia, poi in Germania, attraversato circa una quindicina di volte, fin qui, in Olanda. A questo punto, se così è, lo seguo fino alla foce, a Rotterdam, dove si divide in tre canali, dei quali solo il più piccolo continua a chiamarsi Reno (inferiore). A Rotterdam c’è un porto clamoroso, il più grande d’Europa, che merita (con quello di Amburgo) una visita. Siccome l’ho già visto, da lì decido di proseguire di qualche chilometro e vado a Delft. È la città di Vermeer, non quella dell’Oracolo. Quella sta più giù. Delft è nota per le maioliche, chiaro, e per la Calvè, sì, quella della maionese, oltre ad aver avuto un momento di gloria come capitale delle province unite prima che l’esplosione di una polveriera ne radesse al suolo metà (di Delft, non delle province). Non si può avere mezza capitale e quindi via.
Siccome, però, mi resta un po’ di tempo per vagolare a Utrecht, vado a vedere le opere dei cosiddetti «Caravaggisti di Utrecht», tre artisti cittadini che, in visita a Roma, furono folgorati, appunto, dai chiaroscuri di Caravaggio: Hendrick ter Brugghen, Gerrit van Honthorst e Dirck van Baburen. van Honthorst, noto da noi come Gherardo delle Notti, non è affatto un minore, anzi, produsse molto e con grande qualità, influenzando sia le generazioni successive dei pittori utrechtiani che, addirittura, in parte quella prima. Ecco un esempio significativo di van Honthorst, l’ho appena visto, la sensale (De koppelaarster), con un’eccezionale figura in ombra in primo piano al centro.
Devo ora dire che gli olandesici hanno messo in campo tutta una serie di contromisure ferree contro la pandemia che non avevo notato all’inizio. Mi scuso, quindi, per la mia, sempre sovrana, imprecisione. Infatti, in gran parte dei negozi è richiesto di pagare con carta e non con i contanti. Ciapa, contagio. E poi in alcuni luoghi davvero piccoli ci sono dei separé tra i tavoli ma la cosa pare lasciata alla volontà dell’esercente. Infine, è prescritto il distanziamento, come da immagine qui sotto, e la mascherina nelle stazioni ferroviarie. Bisogna quindi stare a cinque tegels da chiunque altro. Senz’altro, nel dubbio farò dieci, magari quindici. E la pandemia è spacciata.
Tra l’altro, in Olandia non è nemmeno obbligatorio il casco, figuriamoci una mascherina. Trovo ci sia sempre una certa confusione tra costi sociali e limitazioni della libertà individuale ma non è ciò che mi interessa, al momento. Fedele alle promesse di ieri, adesso devo parlar male degli olandesi e poi esporre il mio piano per l’Europa. Sono profondamente convinto che la presunta tolleranza e apertura dei popoli nordici e in particolare degli olandesi sia, in realtà, nient’altro che una molto più banale e meno poetica indifferenza. La questione sessuale, le droghe leggere e non, l’assenza di giudizio sui comportamenti individuali in realtà sono solo risvolti positivi di un sostanziale disinteresse per le sorti altrui. Conseguenza, peraltro, del calvinismo per cui se le cose ti vanno bene è segno di benevolenza del signore e, se ti vanno male, è chiaro che te la sei meritata, in qualche modo. Infatti, finché si è all’interno del sistema, si lavora, si pagano le tasse, si guadagna, tutto va bene. Basta uno scostamento, una malattia, uno svarione, un periodo di confusione, e si è fuori. Basta. Chiuso. Poco tempo fa i miei amici V. e L., gestori di un bed & breakfast, mi riferivano la frase di un ospite olandese, illuminante in questo senso: «Noi siamo così, se tu mi offri il tuo letto, io accetto e ti ringrazio. Ma non ti offrirò mai il mio». Amen. Non vorrei fare di tutta l’erba un fascio, vostro onore, ma insomma, si consideri anche che sono un paradiso fiscale alla faccia di tutto il resto dell’Europa unita, vedi FCA, e io ho concluso, signor giudice. Ora (ecco il piano): siccome quanto detto finora è estendibile e amplificabile alla Danimarca, con l’aggravante delle vignette antislamiche di qualche anno fa e delle recenti dichiarazioni contro gli stranieri, con in più il fatto che i nazisti entrarono serenamente nel paese in bicicletta; siccome non è possibile che il Belgio ci abbia messo due anni per fare un governo e che stiano ancora rompendo le palle con le scaramucce tra valloni e fiamminghi di cui, francamente, importa nulla a nessuno; premesso questo, la mia proposta è una: Danimarca, Olanda, Belgio (e chi mi verrà in mente poi) diventano fin da ora territorio comune europeo, i loro governi sciolti, i loro re mandati tutti a Cascais, con evidente vantaggio per la gestione del parlamento a Bruxelles e per le fiscalità di tutti, per cominciare. Augh! Ho parlato. Sembra una stronzata ma se ci pensate con calma vedrete che è una grande idea. Tutte le grandi idee all’inizio paiono stronzate.
Naturalmente, il fatto che io abbia delle riserve verso gli olandesi e il loro atteggiamento verso la vita, non vuol dire che non mi piacciano molte cose che fanno, numerosi olandesi presi singolarmente e parecchi posti in cui vivono. Delft è uno di questi, un gioiellino piccolo e ben tenuto. I canali sono tutti verdi ma è estate e ci sono le ninfee e poi, comunque, hanno un colore grandioso. Come accade a Salisburgo con Mozart, per fare un nome solo, anche qui celebrano il loro concittadino Vermeer in ogni modo senza averlo minimamente considerato durante la sua vita. L’errore è di allora, perché Vermeer è davvero notevolissimo, il pittore degli ambienti, della pacifica quotidianità, come è stato detto «della vita silenziosa delle cose». Non bisogna fermarsi al turbante o all’orecchino di perla (che già, comunque averne…).
Uno dei suoi quadri che amo di più, oltre alla lattaia, è la stradina di Delft, una meraviglia per proporzioni, fattura e soggetto.
Non potevo mancare, visto che la ricerca che l’ha individuato (il vicolo è dove abitava la zia zittella di Vermeer, Vlamingstraat) è recente, di vedere il posto com’è oggi.
Vabbè. La signora, però, c’è ancora. Infine, come dicevo all’inizio, Delft è notissima per le maioliche e, in particolare, la Royal Delft le produce ininterrottamente nello stesso posto dal Cinquecento. Ho scattato una significativa immagine della fabbrica oggi:
Domani, se tutto va secondo i piani, Belgio. Così spargo il germe anche lì e spiego loro la faccenda del territorio comune europeo.
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