minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo dei focolai: giorno due, l’estetica italiana trova conforto in polacchia, librerie antiche, imparare la scrittura in polacco, i trattini maledetti

Cracovia, agli italiani, piace parecchio. Primo, perché qualcuno ha messo dei voli abbastanza low cost. Secondo, perché a raffronti fatti c’è abbastanza da fare i signori. Non come una volta, certo, ma in un ristorante turistico nella piazza principale si piglia un piatto unico di carne con contorni e una birrona con dodici euro. Cioè cinquanta złoty, all’incirca (il plurale sarebbe «złote», lo so, ne riparliamo al corso di polacco). Terzo: perché noi italiani ci sentiamo i figli legittimi di Baldassarre Castiglione e Achille Castiglioni e, nella migliore delle ipotesi, siamo invece i cugini di terzo grado di Dolce e Gabbana o, nella peggiore, il pubblico di Uomini e donne. Di conseguenza, adoriamo la raffinata estetica polacca, fatta di legno, oro, diamanti finti, specchi e neon blu, adatta anche per il più minuscolo dei bar. Per tutti questi motivi, solitamente si trovano parecchi italiani a Cracovia, molti meno ora causa pandemia ma qualche intrepido si trova. Quattro, per esempio, che stamane stavano facendo sapere a tutta la piazza di essere venuti in auto. Bravi. Tutti questi italiani, anche in condizioni normali, si dissolvono un chilometro fuori dalla città: se ne trova qualcuno molto pacato a Varsavia e nulla più, il resto della Polacchia è da considerarsi libero dagli italiani. Italian-free. Se la cosa è di vostro interesse, come lo è per me, tenetene conto nella scelta.
Io, nel frattempo, ho messo a punto la mia tecnica per affrontare gli orari locali: colazione molto sobria la mattina presto, poi in giro tutto il giorno senza mangiare niente, così che alle cinque e mezza sarei pronto a mangiare un sindacalista di Solidarność. Così trovo posto, mangio al loro orario e mi resta il tempo, dopo cena, di fare ciò che preferisco. Leggere romanzi d’amore polacchi.
Un po’ come gli immortali Petrektek e Kripztak. A proposito di libri, qui in piazza a Cracovia sostengono di aver avuto la prima libreria d’Europa, 1610 anno del signore. Ora, io vorrei sapere che ne pensano a Venezia. La Livraria Bertrand di Lisbona è del 1732 ed è la più antica libreria in attività, il mistero rimane.

Prima l’ho buttata lì come nulla fosse ma l’argomento merita di più: gli złoty. In prima battuta, i più attenti avranno notato che ciò implica che in Polacchia non hanno l’euro. Già. Il processo di adozione della moneta comune europea ha avuto inizio nel 2009, siccome però hanno visto l’impatto che il cambio di moneta ha avuto sulle economie deboli e hanno ben compreso come invece mantenere una moneta debole favorisca le loro esportazioni e il turismo, stanno bellamente menando il can per l’aia da oltre dieci anni. Attualmente ci vogliono quattro złoty per un euro. L’attuale złoty («oro» in polacco, seee) è il cosiddetto «nuovo złoty» perché nel 1995, data la galoppante inflazione, il governo introdusse la nuova moneta con un cambio di 10.000 vecchi złoty a uno. Non male, qualcuno ricorderà che se ne parlava anche da noi, la «lira pesante», per dire il livello cui eravamo arrivati. Devo dire, infine, che mi fa sempre impressione usare gli złoty perché, nella letteratura ebraica e nella memorialistica concentrazionaria, richiamano i ghetti, il mercato nero, gli anni cupissimi, scambi furtivi e la paura costante.
E ora, un po’ di corso di polacco: singolare «złoty», plurale «złote». Per scrivere in polacco, basta sostituire le «i» con le «y», le «s» con le «z», aggiungere un’acca a caso e finire le parole in -a. Esempio uno: «crisantemo» diventa «chryzantema». Per il polacco parlato non ne ho idea, non si capisce niente. A volte le regole di prima vanno un po’ mischiate a piacimento: «cioccolata» diventa «czekolada», «ottimistico» è «optymistyczny». Sentitevi liberi, lasciate andare la vostra creatività. Nel dubbio, meglio aggiungere, non togliere (abundare quam deficere). Per capire meglio quanto spiegato oggi e meglio apprendere il processo di formazione delle parole, è utile ascoltare «Huligani dangereux» dei CCCP, in particolare da «Metallisti Stalingrada / Elettricità sovieta (…) Hippi realisti Bucuresti / Capelli corti niente cresti / Fuma tzigarra disonesti». Per unire l’utile al dilettevole, segnalo che sui tavoli dei ristoranti i camerieri applicano un’etichetta che indica che il tavolo è stato disinfettato. Ovviamente, l’etichetta resta, i clienti cambiano, non sempre accade qualcosa tra gli uni e gli altri. Comunque, per restare alla lingua, «disinfettato» diventa «zdezynfekowano» (se lo si legge alla brutta, fino a «desinfec-» ci siamo, anche se sembra un misto tra ungherese e boscimano). Alla prossima lezione della bella lingua polacca.

Oggi viaggio bene con Go dei Chemical brothers (ma bisogna arrivare almeno al ritornello a 1:20 e sentirla in cuffia, se no vale poco).
Decido di andare a Lodz. Serve un treno, quindi vado nel luogo dei treni e mi accingo a comprare un biglietto. Comunicare a Cracovia è abbastanza semplice, parlano tutti inglese: con tutti intendo anche l’ottantenne nato sotto l’occupazione tedesca e con parlano inglese intendo che lo parlano meglio di me. Il difficile viene con le macchinette automatiche, specie quelle delle casse dei supermercati che non hanno traduzione. Supponendo che «sì, va bene, sono d’accordo, grazie» sia il pulsante sopra dei due, più o meno ce la si fa. Ma le macchinette dei biglietti dei treni ce l’hanno, la traduzione. Vado alla macchinetta per svariate ragioni, sia perché mi permette di guardare con calma gli orari e le combinazioni, sia perché posso fare un po’ di prove con destinazioni diverse, sia perché così non devo provare a pronunciare un nome di città polacca venendo guardato come si guarda un sottosegretario di forza italia. Dove vuoi andare? Lo so, a Lodz. Digita la destinazione. L-o-d… non c’è. Mmm, riprovo. L-o… niente. Sarò alla macchinetta giusta? Magari è quella dei superlocali o, magari, quella dei treni dell’iperspazio e non va bene. Ma come fa a non esserci Lodz? Mi guardo attorno spaesato. Comincio a considerare l’opzione sottosegretario. Poi, miracolosamente, ho un barlume d’intelligenza: Lodz ha la ‘L’ strana, quella col trattino, vuoi vedere? Occhei, macchinetta, fammi guardare, sì, ce l’ha sulla tastiera sullo schermo, è proprio un’altra lettera: Ł-o… Nessuna destinazione. Mavaff… Bene, l’intelligenza è durata il balenar di una lampadina che si rompe. E adesso? Riprovo, Ł… con calma… o…, niente. Mi serve un secondo barlume e per fortuna, dopo alcuni lunghissimi secondi in cui sono di certo apparso come un bonobo di fronte a un distributore automatico di sigari, arriva: sta a vedere che anche la ‘o’ è strana. Santoddio, è come se stessi trattando l’uzbeko, il mongolo antico, l’urdu primitivo, il dialetto nazista dell’Illinois. Ce l’ha, la ‘o’ strana, maledetta città. E mi accorgo che la tastiera a video, a scorrere, avrà circa novecento lettere, perché ogni trattino, ogni accento, ogni accidenti genera una nuova lettera. Ł-ó-d… urrah! C’è. E la dicitura esatta è: Łódź. Tre su quattro sono lettere indicibili.
Grazie Signore di avermi guardato, prendo il biglietto e il fatto che il treno ci metta tre ore e rotti per percorrere duecento chilometri mi pare del tutto irrilevante. L’abitudine a Gùgol che capisce che vuoi dire ‘Łódź’ anche se scrivi ‘Loptqqw’ è un punto da cui non si torna indietro, purtroppo.
Vado, il treno è bello, ha l’elettricità, il comodo appendiabiti (vedi sotto), costa poco perché ho speso circa dieci euro, ed è un intercity. Che bella l’epoca in cui li avevamo anche noi e si viaggiava un pochino più lentamente ma bene e spendendo poco.

Oddio, un pochino più lentamente forse no: il treno va a cinque all’ora, arriverà a destinazione dopo dodici ore, fortuna che io devo scendere molto prima. Beh, tutto sommato va bene, mi dà la possibilità di vedere con calma, molta calma, la Polacchia, che è proprio un bel paese. Conserva ancora tracce della foresta europea primordiale e in alcune zone pure il bufalo europeo (ma non ci sono gli indiani europei, li abbiamo sterminati tutti), oltre a variopinti campi di cavoli e di meno variopinte patate.

In molti, soprattutto maschi tra i venti e i trenta o oltre i sessanta, ed è quindi un fatto di orgoglio di genere, in treno si tolgono la mascherina. Mi rendo conto che mi dà un po’ fastidio, sia per l’indifferenza, sia perché il viaggio è lungo e siamo davvero assembrati. O polacchi, io son stato a Bergamo e in Lombardia e se non vi coprite vi infetto tutti, capito? Che guardi tu? Adesso ti scatarro adosso, osti!
Łódź, Łódź, Ł-ó-d-ź. Looaooddtszs.


L’indice di stavolta

giorno zero | giorno uno | giorno due | giorno tre | giorno quattro | giorno cinque | giorno sei | giorno sette | giorno otto | giorno nove | giorno dieci | giorno undici |

2 commenti su “minidiario scritto un po’ così dei giorni in Europa al tempo dei focolai: giorno due, l’estetica italiana trova conforto in polacchia, librerie antiche, imparare la scrittura in polacco, i trattini maledetti

  1. Ł…eccetera
    Subito mi torna in mente un romanzo imperdibile: I fratelli Ashkenazi, dove si impara che Ł… si pronuncia
    Uuc !!!
    O qualcosa di simile

  2. Caro Paolo, hai ragione, il libro è imperdibile, grazie dell’indicazione. Quanto alla pronuncia della ‘ellestranacontrattino’, credo abbia delle variazioni a seconda che si trovi all’inizio o all’interno della parola, se sia seguita da vocale o da consonante o sa dio da cosa. Qui ‘Łódź’ lo pronunciano abbastanza lodz ma, per esempio, il ‘Wisława’ della Szymborska lo pronunciano come dici tu, una cosa con delle ‘u’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *