Vagolo al cospetto del mar Baltico, l’aria è fresca e leggera, pulita direi, in quattro ore piove sei volte, tre vien fuori un caldo equatoriale, una un vento da portar via le fette di torta dal piatto. I tedeschi premuniti, di solito di una certa età, si cambiano ogni dieci minuti, aggiungono o tolgono strati alla cipolla, avvisati. Quelli meno no, non tolgono e non aggiungono niente, si godono il fresco, il caldo e la pioggia, come faccio io. Il posto è di vacanza, uno di quei posti che piacciono ai tedeschi in cui puoi mangiare, stando seduto a guardare il mare o il passeggio, un cappuccione da un litro, un piatto di torta al formaggio e gelatina di frutta e uno spiedino di gamberi, tutto insieme. Una cosa che non ho mai capito della Tedeschia è questa: ovunque si vedono ultrasettantenni – uomini e donne, sia chiaro, alla pari – intenti a bere mezzilitri di birra e mangiare maiali stracotti con grande soddisfazione, condendo il tutto con grande serenità. Ma, mi domando io, i loro medici curanti che dicono? Ovvero: sono i medici di base tedeschi diversi dai nostri medici di base? Seguono discipline diverse? Sono più avanti, più indietro? Fosse che qua muoiono a cinquant’anni, capirei, ma non mi pare sia così. Anzi. Dev’essere quella gran balla del colesterolo.
Il piano, ora, è di proseguire verso ovest restando sufficientemente in quota, passare dal primo porto tedesco, Amburgo, per approdare al secondo, Brema. Amburgo è una città molto interessante, spesso trascurata a favore di nomi più noti, ne avevo fatto una guida tre anni fa, elencando almeno tre buoni motivi per andarci. Lo confermo, nel frattempo io salto e proseguo perché, appunto, ci sono già stato due volte. E poi i giorni sono agli sgoccioli: agosto sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grand… no, no pardon. Agosto sta effettivamente finendo e certe cose è bene che ricomincino, contagi permettendo, e la mia presenza è richiesta. Pianifico, dunque, le tappe del rientro, visto che i milletrecento chilometri che mi separano da casa vanno in qualche modo percorsi.
Oggi è il decimo giorno che sono via e mi sembra di essere vagabondolo da parecchio tempo. Questo per dire che, per viaggi di questo genere, non serve avere a disposizione molti giorni, anzi. A volte ne bastano cinque o sei, se ben gestiti, non serve avere davvero molto tempo libero per pianificarne uno. Certo, se son di più è meglio. Anche perché di solito funziona così, almeno per me: verso il settimo, ottavo giorno, c’è un momento di stanchezza fisica e mentale, perché i venti chilometri percorsi a piedi, mediamente, ogni giorno e i treni, gli spostamenti e i panini si fanno sentire. Ma è una modesta flessione, basta concedersi una pausa, un diversivo anche breve, e il momento passa rapidamente. Poi, è tutta discesa, nel senso che da quel momento potrei stare in giro per sempre.
Casa si fa sotto anche per vie traverse, un paio di telefonate con amici. Referendum? Che referendum? Ah, sì, qualcosa mi sovviene, eravamo in lockdown chiusi dentro casa ed era stato rimandato, giusto, ma di che si trattava? Ah, certo, la riduzione del numero dei parlamentari. Che ne penso, che ne pensiamo? Mah, difficile a dirsi, è già difficile normalmente, lo è ancor di più a guardare nuvole che corrono sulla linea dell’orizzonte del mare, le riflessioni sull’architettura costituzionale vengono meglio al tavolo, nello studio. Sì? No? Ne discutiamo, condividiamo incertezze, di fatto saremmo tutti per il no ma i dubbi si insinuano. Perché è un referendum fatto per mille altre ragioni che quella di far funzionare meglio il Parlamento. Di che si parla, dunque? E io come faccio a pensare ai parlamentari italiani con davanti una fontana con le foche?
Questo è un lavoro per il me stesso del futuro, ci penserà lui tra qualche giorno. Non io, non ora. Ora, nuvole.
Oggi è proprio una giornata da Van Loon di Francesco Guccini che, oltre a essere una canzone davvero eccezionale è, per me, anche fonte di memorie personali cui ripenso con parecchia nostalgia. Oplà.
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