Con la cultura, forse, non si mangia. Ma con l’inquinamento si muore, sicuro.
E non solo: nelle prime venti posizioni delle città più inquinate d’Europa per Pm2,5 ben dieci città italiane, Milano, Cremona, Saronno, Vicenza, Verona, Treviso, Padova, Como e poi, andando oltre, Pavia, Pordenone, Venezia, Piacenza, Ferrara, Gallarate, Carpi, Torino e così via. E siamo poco dopo i trenta, mica in là. Solo la Polonia e la Repubblica Ceca reggono il confronto ma lì, voglio dire, hanno le centrali a carbone.
Non è che non si possa fare nulla, anzi, le spallucce servono a ben poco. Eppure, è quello che fanno tutti quando si solleva l’argomento. Eeeh, sì, bisognerebbe andare via, tanto per chiudere il discorso e poi niente. Si può fare molto ma abbiamo deciso di rinunciare alla salute in favore del lavoro, in un patto scellerato che non è affatto necessario. Preferiamo pagare multe piuttosto che metterci in regola con i parametri europei, preferiamo morire di mal’aria piuttosto che pensarci. E affrontare il problema, magari. Complessivamente, in pianura padana.
Io, giuro, appena finisce ’sta menata della pandemia, telo.
Mi colpisce come la maggior parte delle città siano lombarde e venete. Il Piemonte c’è, ma è quasi solo Torino. Eppure la pianura padana è per buona parte anche emiliana. Non che non ci siano città emiliane o romagnole, ci sono, ma decisamente più in basso (Modena è cinquantesima, per dire, e la differenza tra le medie è ponderosa), e non è che abbiano dei modelli di sviluppo radicalmente differenti. Allora la questione è politica, oserei dire culturale, là i problemi dell’inquinamento si affrontano, qui nelle regioni a trazione leghista o, comunque, storicamente di centrodestra, no. E questo vale anche per i sindaci di centrosinistra, sia chiaro, la cultura è diffusa.
Il nesso, poi, col covid lo troverà qualcun altro.