Rocco Casalino, cioè il tizio che ha fatto il grandefratello e poi è diventato il portavoce del presidente del consiglio Conte per via del movimento cinque stelle sia nel goveno con la lega sia con il PD, ha scritto la sua autobiografia. Ne sentivo molto la mancanza. L’ha intitolata, propriamente, Il portavoce.
Non sto mettendo certe maiuscole apposta.
Ma il libro, che doveva uscire il 23 febbraio, non uscirà, causa crisi di governo. Accidenti. Dal sunto inviato ai giornali, estrapolo: «Rocco studia duramente, è il più bravo della classe, la matematica gli piace e gli riesce facile. Così, tornato in Italia, si iscrive alla facoltà di ingegneria». Oddio, ma sarà lui a scrivere di sé in terza persona? Poi dice: «Tante vite vissute, tante lezioni imparate, tanta fame di farcela a tutti i costi: per diventare il portavoce di Giuseppe Conte e uno degli uomini più decisivi di questi anni». Più decisivi, certamente, venga pure di là, prego.
Al di là di questo, che è già molto, la cosa che mi turba di più è la copertina.
Ma va’ a quel paese. Non c’è bisogno che metta a cosa fa riferimento, vero? Vero? La stessa posa, la stessa inquadratura, persino lo stesso font, la stessa posizione delle mani, eddai.
Quando dice: «Non dimentico mai da dove sono partito, cioè dalle condizioni più svantaggiate dell’universo» non si può che dargli ragione.
Vabbè, se a qualcuno mancano proprio le basi della cultura generale e visiva di questi anni, rimedio. Rocco e Piemme si riferiscono a:
Peraltro non è nemmeno un riferimento particolarmente lusinghiero, ma tant’è, la cultura è quella. Spero non esca mai o che esca e venda cinque, no tre, no una copia. «Rocco è bravo e ha comprato il suo libro». Bravo, Rocco, bravo. Vieni qui, dai. Non ti faccio male, dai, vieni qui. Povero mona.