No, non in senso letterale, a fianco. Ci sono molti modi di godersi un fiume, uno dei più soddisfacenti è quello di camminarci a fianco, seguendone il corso.
E uno dei fiumi che più si prestano a questo è l’Adda, in molti suoi tratti. Quello che io consiglio parte da Trezzo sull’Adda, appunto, e va verso nord, controcorrente. A piacimento, volendo fino a quel ramo del lago di Como, o quasi, potendo al desiderio guadare proprio come Renzo e i suoi patemi. Ed è fiume bello largone, placido, poi rapido e turbinoso, poi di nuovo largone, più basso rispetto al circostante così da non far vedere case o manufatti o quasi, casa di pesci, uccelli e viaggiatori fluviali.
L’Adda può, ovvio, esser percorso in ogni stagione ma, come per il Po e i fiumi della pianura, io prediligo e consiglio le giornate invernali in tonalità di grigio, quasi alla “Mestiere delle armi”, ed è già bello non aver la gamba in cancrena. Che poi grigio davvero non è, sono verdi, tanti, e marroni e infinite variazioni sul tema. E non ci son le moltitudini, mica cosa da poco.
Fin da Trezzo, l’Adda mostra la sua parte industriale, incanalata a volte per ragioni idroelettriche, per dar corrente alle tramvie milanesi tra fine Otto e inizio Nove, dalla meravigliosa centrale Taccani in ceppo dell’Adda, proprio sotto il castello di Trezzo costruito con lo stesso ceppo, prodigioso impianto che, sfruttando la curva del fiume, non aveva necessità di condotte a caduta, alle Esterle e Bertini, più su.
Più in alto il fiume si strozza, impedendo la navigazione in entrambi i sensi. E subito l’immaginazione corre a mercanti che, scaricate le merci da una parte percorrono il tratto a dorso di mulo per ricaricarle appena di là, su una nuova barca e proseguire il viaggio. O a eserciti infiniti che colgono il guado proprio qui che si stringe, che fossero francesi in cerca di sacco o piemontesi lenti e dubbiosi verso l’austriaco, da quando il Carmagnola aveva ruinato il ponte di Trezzo creando il secolare confine tra Milano e Venezia. Ma fin da molto prima, che le tracce son antichissime e si posson vedere, alle rapide, siano castella del quinto secolo o tombe medievali con le ossa, pure, o chiesette abbarbicate, chiedere del custode che mi pare abbia voglia di chiacchierare.
Ed è proprio qui, alle rapide, che Leonardo, beato ospite dei Melzi più giù, a Vaprio, ambientò le sue “Vergini delle rocce” e forse chissà altri suoi quadri più famosi, e che ragionò di canali, chiuse e traghetti spinti dalla corrente. Ne esiste uno, di traghetto, in funzione e bello da vedere e da prendere, e pure di canale per la navigazione a fianco della strozzatura, quest’ultimo invece in disuso. Se vi fossero amministrazioni non dico illuminate ma almeno sagge, si ripristinerebbe tutto, le chiuse e le casette di controllo, che altro che il canale du Midi, ne faremmo bocconi. Ma tocca rimettere in tasca le aspirazioni più alte, putroppo, di questi tempi leghisti.
Il segno dell’industria, potente, della fine Otto, è anche nel ponte di ferro di San Michele a Paderno d’Adda, uno dei più grandi anche oggi a campata unica, con sopra la strada e sotto la ferrovia, capolavoro di Röthlisberger riconosciuto dall’Unesco per l’archeologia industriale italiana. Perché l’industria è senz’altro una chiave di lettura necessaria di questo corso d’acqua, oltre alle folaghe e i sanguinelli, da qui a Villaggio Crespi e ancor più giù, fino alle centrali più moderne a Cassano.
Come tutti i luoghi, anche l’Adda restituisce ciò che si va cercando: se quiete, acqua, flora e fauna di grande bellezza, piuttosto che storia, industria, persone e merci, battaglie magari, anche se per queste seconde qualcosina serve sapere. Magari serve quella saggezza necessaria per cui, forse, non si guarda il dito di Leonardo ma l’idea che sta al di là.
Saggezza che, con evidenza, noi non abbiamo. Il dito punta proprio lì. Dove indica l’altro dito. Un tesoro nascosto? Un’invenzione che cosa le cose? Servirebbe un terzo dito che indichi, che stuzzichi e che, magari, prematuri.
Andateci, eddai, è un bel posto.
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