Due settimane di blackout sulla questione pandemia. Non io, non il mio minidiario, proprio il paese tutto. Perché c’era la crisi di governo e buonanotte pandemia. Tre giorni fa era persino difficile trovare su un qualsiasi giornale notizie riguardo i colori delle regioni, chissà, o l’andamento delle vaccinazioni. Ora c’è Draghi, forse ricominciamo a occuparci della questione. Bene, tra parentesi, la conferma di Speranza al ministero della Salute, non tanto per lui – che comunque non è stato certo il peggiore – quanto perché così non si perderà tempo a spiegare al nuovo ministro dove sta la scrivania.
Mentre, come tutti, ero in attesa che le cose ripartissero, ho letto alcuni articoli interessanti sugli errori che, comunemente, facciamo in tema di pandemia. Ma io no, mi son detto andando a leggere, figuriamoci, sono attentissimo. Che poi è la stessa cosa che dicono tutti quelli che scoprono di essere positivi. Ma come può essere? Può.
Le persone mentono. Poiché mentono sui pesci pescati, mentono anche sul covid. Mentono sulle trasgressioni alle buone norme anti-contagio e mentono sui propri sintomi, qualora vengano loro richiesti. Stato tra la gente? Ma va’. Tosse? Mai. Febbre? Macché. Se poi lo dice un amico o una persona simpatica, o bella, dev’essere per forza vero. Il fatto che sia permesso non vuol dire che sia sicuro. Beh, ma se il DPCM lo permette, se si può fare, allora lo faccio. Grande fraintendimento. È chiaramente lecito andare al supermercato in ogni scenario ma ciò non significa che sia un ambiente raccomandabile, lo sappiamo in teoria ma in pratica ci comportiamo come se lo fosse. I termoscanner all’entrata, da questo punto di vista, aiutano poco. L’ho già fatto una volta e non è successo niente. Questa, magari, è una giustificazione più implicita, è più raro che venga espressa a parole, di fatto però costituisce un metro dei nostri comportamenti ripetitivi: aver trasgredito e non aver subito conseguenze falsa la nostra condotta generale. Ma siamo all’aria aperta. Certo, ciò non toglie che parlare un’ora con una persona a mezzo metro senza mascherine sia piuttosto rischioso, anche se ogni volta che si incrocia un podista per tre secondi si scuote la testa perché non ha bocca e naso coperti. Mi piace mettere mascherine eleganti o diverse dagli altri. Con la bandiera italiana, magari. Bene, benissimo, magari di stoffa fatte dalla mia sarta così brava con una fantasia floreale stupenda. Ottimo. Oppure una mascherina chirurgica perché la ffp2 tira un sacco le orecchie. Oppure, ed è il meglio, abbassarla quando si parla, al telefono o con l’interlocutore, perché si teme di non essere sentiti. Un anno e ancora la cosa non è chiara.
La confusione regna abbastanza sovrana, sia dentro che fuori di me. Più che altro, fuori, devo dire. Nell’arco di otto ore ho sentito dire da un’amica che ha un’amica che lavora in ospedale che la variante inglese del virus è sicuramente molto infettiva ma decisamente meno grave e da un funzionario della Regione che di variante inglese si muore molto di più. «Ormai serve il lockdown, le zone rosse non bastano per contenere le varianti, andava già fatto a dicembre». «È sotto gli occhi di tutti che la faccenda delle Regioni colorate non ha funzionato». «Il sistema dei colori ha funzionato, ci ha permesso una mitigazione dell’epidemia, regolando la velocità come fosse acqua che scende da un rubinetto». «Chiedere un lockdown generale è una misura barbara, senza razionale scientifico. Le soluzioni sono lockdown mirati, provinciali, localizzati, chirurgici e rapidi». «Il problema non si risolve con le chiusure che servono solo a guadagnare tempo. Si risolve con il vaccino». «Vanno applicate con severità le misure che abbiamo. Un lockdown severo non serve, ma occorrono chiusure chirurgiche». Potrei andare avanti per pagine. Una delle cose che prediligo è quando si parla del virus come se avesse volontà e intenzioni (e con ‘si parla’ intendo un virologo): «Attenti alle varianti. Ma da virologo vi dico: il Covid ha interesse a farci meno male», per dire, sul giornale di oggi. Ed è Giorgio Palù, virologo, presidente dell’agenzia italiana del farmaco Aifa, non Bislazzoni al Bar Sport, che avrebbe ben diritto di personalizzare ’sto rompimaroni di virus. Io, noi, lui, anzi Lui, senza ovviamente dimenticare Loro, che il virus l’hanno creato. Bene.
Le altre puntate del minidiario scritto un po’ così delle cose recidive:
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