Esco nemmeno tanto presto e, come spesso accade nei paesi non da noi, prima delle dieci cammino in una città morta. Trovo fortunosamente una brasserie aperta dotata di macchinetta del caffè e ordino il caffè più piccolo che sono in grado di produrre. Che è comunque un espresso quintuplo. Insieme, mi viene chiesta la certificazione sanitaria, o green pass come lo chiamiamo noi. Desolé, anticipa la ragazza al banco, io ribatto che è normale, va bene, ma intuisco anche da questo una certa resistenza al meccanismo del controllo. Infatti da oggi, il nove, in Francia è obbligatoria la certificazione, dentro, fuori, sopra, sotto. Mi è stata chiesta già ieri in albergo, al museo, e devo dire che le prime volte l’ho mostrata con un attimo di suspense, temendo non andasse. Poi tutto liscio e da oggi si esibisce anche al bar. Più tardi proverò i negozi e tutto quello che la cronaca da vicino impone.
Da sempre piacevolmente accoccolata su due colline alla confluenza di Rodano e Saona, Lione è una città che incontra i miei gusti più arditi, perché è molte cose insieme e non tutte facili. Alla città romana, la Lugdunum delle partes tres della Gallia di Cesare, si sovrappone quella rinascimentale del crocevia della produzione di sete e della libera stampa, e dico Rabelais, fino alle pagine oscurissime di Vichy e al potere economico e alla vivacità di oggi. Eh sì, perché i soldi del crédit Lyonnais sono tanti, e le industrie molte, i campionati vinti pure, le corse di TGV per Parigi più frequenti della linea di autobus – elettrico – per la periferia, la partita con Parigi sempre aperta, velò, monopattini, parchi, auditorium, spazi sociali ovunque. La stessa confluenza dei due fiumi, dieci anni fa un conglomerato di fabbriche in disuso, oggi è completamente recuperata. Certo, si potrebbe obiettare sui maxi-centri commerciali, forse anche sui diecimila metri quadri adibiti a compostaggio e riutilizzo del terreno, ma ci sono le linee del tram, il treno, un sacco di gente, il museo della confluenza e molto spazio libero. Può non piacere ma ci si muove.
Fuori dal centro tutto UNESCO e fuori dai circoloni finanziari e produttivi, la città grande e vera è un po’ il senso di tutto, dai quartieri ammodino ricchi di murales meravigliosi – Lione ne è la capitale – a quelli in cui persino le cassette postali dei condomini sono dietro una grata e la puzza di piscio è aggratis. Là dove i soldi sono tanti si allarga sempre anche la forbice, il sopra e sotto di Brecht, oggi più che altro centro e periferia, ci si salva se non si scivola oltre il mezzo. E io in fondo in fondo mica ci sono andato, servono l’auto e lo scafandro.
Perché poi la città di servizi si allarga, recupera spazi malsani, vecchia storia, ma alza anche i prezzi offrendo opportunità alle catene e a qualche giovane avventuroso che lancia un improbabile negozio di thè ricercati e biscotti fatti a mano o biciclette vintage destinati a soccombere sotto il peso dei costi fissi. E un sacco di gente si deve spostare, il caso della croix-rousse, quartierone popolare ora a diecimila euro al metro quadro, è lì da vedere. Niente di nuovo, è la gentrificazione, la galleria d’arte prende il posto del salumiere e vediamo dove arriviamo.
Alcune cose di Lione, un po’ a mente: Claudio e Caracalla, la seta, il vino, Montgolfier, Ampère, Saint-Exupery, Henri Matisse, Jean Nouvel, il meraviglioso Guignol così vicino a Pasquino, Klaus Barbie e l’Hotel Terminus, la repubblica di Vichy, i fratelli Lumière, e ovviamente Rabelais, come detto. Oh, io son mica qui a far la guida, se vi punge curiosità questi son spunti.
A Lione ci sono stato tredici anni fa, all’inizio di un altro giro ben più lungo di quello di questi giorni (qui, il ventisette, madonna come scrivevo meglio allora, ma oggi mi importa meno risultare perspicace). Ma allora, quello da cui provengo e questo, erano mondi più diversi, allora la disparità era più marcata, l’integrazione per esempio in Francia era una realtà più avanzata, il meticciato pure, oggi si nota meno la differenza, comparando realtà simili. Oggi si nota di più la parità di genere, consolidata maggiormente qui. E certo, poi la Bank of China è arrivata ovunque e ha una sede in centro che forse prima era del Crédit. In qualche modo, l’integrazione europea ha fatto passi in avanti più di quanto mi sia permesso cogliere da casa, facendo in qualche senso avanzare i paesi un pochino più arretrati e rendendo tutto più omogeneo. Non so, per dire, alcune cose che qui nel 2008 c’erano e da noi poco o niente: l’alta velocità; le piste ciclabili; i biglietti integrati dei musei; i biglietti integrati dei trasporti; le due cose insieme; i mezzi pubblici elettrici; i centri pedonali; le biciclette pubbliche; le grandi catene; le cose da asporto e i ristoranti etnici; i giardinetti per pisciare il cane; le stazioni con dentro i negozi; le casse automatiche; gli scivoli per i disabili. Bene, voglio dire, meglio, anche se ciò lascia a me oggi un po’ meno da raccontare.
Due cose del giorno. Ah, visita al museo delle belle arti ed è sempre così: se la prima sala è dedicata agli Egizi, sei foutu, è lunga. Un bell’incontro della giornata sono due donne, giovani pure, che giocano a scarabeo fuori dalla lavanderia automatica. Voglio dire, questo è affrontare le cose con piglio.
Se oggi, in giro, avessi incontrato il me di tredici anni fa gli avrei detto, certo, di fare e non fare certe cose. Amore, lavoro, soldi, carriera, contratti e incantesimi. Tanto non so se mi avrebbe ascoltato, improbabile. Però gli avrei detto una cosa importante, che non poteva sapere allora: le cose cambiano più rapidamente di quanto uno si aspetti, fino a una certa età crediamo in fondo che certe situazioni siano eterne ma non lo sono. Me del passato, goditi di più certe persone, non sarà comunque mai abbastanza.
giorno zero | giorno uno | giorno due | giorno tre | giorno quattro | giorno cinque | giorno sei | giorno sette | giorno otto | giorno nove | giorno dieci | giorno undici | giorno dodici | giorno tredici |
Qualche “cosetta” terrena di Lione: i marciapiedi lungo fiume, il festival delle luci di dicembre, la Sainte’-Lyon, e non da ultimo l’incredibile Brasserie George a Perrache.
Ecco, sono appena venuto via e mi tocca già tornarci. Grazie, eh!