Una fetta significativa dei viaggi zaino-in-spalla è fatta dalle attese. Nei parchi, al bar, più che altro nelle o attorno alle stazioni. C’è un mondo che gravita lì, di giorno e di notte, per via dei servizi, degli spazi accessori e di tutto ciò che un flusso continuo di persone comporta. E così, per via di una coincidenza lunga o dell’anticipo del viaggiatore, capita di passare parecchio tempo in attesa. Il jingle delle ferrovie francesi – quattro note, lo si può sentire all’inizio di Rattle that lock di David Gilmour – viene ripetuto prima di ogni annuncio e dopo un quarto d’ora assomiglia a una tortura cinese di privazione del sonno. Spero che chi l’ha composto sia iscritto alla SIAE francese.
Buona parte dell’anticipo è dovuta al fatto di non conoscere il luogo, ovvio. Bisogna prima trovare la stazione, orientarsi, capire da dove si accede ai binari e come. Capisco che detta così sembri una banalità ma non è mica vero: per esempio, stamattina, dovendo partire dalla stazione di Lyon Perrache, io mi sono appropinquato con buon anticipo a quella che è a tutti gli effetti la stazione, per scoprire poi da dentro che da lì partono metro, tram, bus e che i treni invece sono in un altro pezzo di stazione alla fine di un corridoio chilometrico. Scoperte che possono costare il viaggio. E i binari? In Francia i binari, le voies, sono indicate dalle lettere e non dai numeri. Ma non in ordine alfabetico, per cui magari ci sono A, G, X, M, mentre B, C, D, E che sono ad alta velocità sono da tutt’altra parte. F, che so, non pervenuto. Ah. Poi i binari sono segmentati e ogni segmento è indicato con… una lettera. Scritta bella grande, più grande della lettera del binario, magari uguale alla lettera di un altro binario, per cui non è raro far casino. Io. In Germania, invece, i binari sono numerati ma segmentati con lettere e loro sono usi far partire più treni dallo stesso binario, quindi devi beccare il segmento giusto all’ora giusta. Se no, sbagli treno. Io. Ecco, per dire. Noi, da questo punto di vista, a parte gli ovest ed est, siamo più comprensibili.
Comunque. Sono in attesa davanti alla statua di Ampère in quel momento della giornata, bellissimo, in cui le città francesi in agosto (solo?) sono deserte. E sono le otto e un quarto, non le cinque del mattino. Siccome tra Lione e Vienne ne ho sentite parecchie sulla produzione della seta e sul successo che ha avuto per secoli in queste zone, mi documento un minimo. Doveroso, visto che anche a casa mia, nel sottotetto, si coltivavano (? allevavano?) i bachi da seta e io non ne so quasi nulla. Di questo, domani. Difficile resistere, eh?
Lascio Lione e l’Auvergne per andare nella valle della Loira, a Bourges. Inutile dirlo, le colline prima e la pianura poi sono di grande bellezza, verdi e invitanti. Il treno, un intercity mediamente lento ma riattato e ben tenuto, viaggia tranquillo fermandosi ogni venti minuti in media, attraversando la Loira di tanto in tanto. Passiamo vicino a Vichy, insieme famigerata per il collaborazionismo e apprezzata per l’acqua e i cosmetici, ed entriamo in Borgogna costeggiando il circuito di Magny-Cours, mai troppo amato dai corridori per l’isolamento e la difficoltà nei sorpassi. Poi tocca a Nevers, famosa per le ceramiche, imparate a Mantova presso i Gonzaga, che a metà Seicento estingueranno il ramo italiano in quello, appunto, dei Gonzaga-Nevers. Ludovico Gonzaga, infatti, condottiero per conto dei francesi, grazie al matrimonio con Enrichetta di Clèves acquisì la signoria sulla città, trasformandola in ducato. Poi tutto sarebbe stato acquistato dal cardinale Mazarino, preoccupato di sistemare il nipote. Toh, due figure distinte, da noi di solito coincidevano. Nel frattempo, oggi Nevers viene assediata dai turisti religiosi per vedere la salma della veggente di Lourdes, cinquecentomila l’anno e tutto fa indotto. Indotto ben pasciuto.
La Loira, nota per gli oltre trecento castelli, è un bel fiumotto largo e placido, in questa zona poco poco profondo, decine di centimetri, che nei tempi andati faceva un po’ palude dappertutto. Ne parla anche Cesare, poiché la difesa di Vercingetorige, oltre alla tattica della terra bruciata, contava anche su di esse per, letteralmente, impantanare gli invasori. Inutilmente, si è visto. Oggi ovviamente le paludi sono state bonificate ma le pozze affiorano ancora qua e là, tra i campi di girasoli e le pecore sparse.
Eccomi a Bourges, rinomata per la cattedrale gotica (come Burgos, coincidenza toponomastica che mi ha sempre colpito), genere di cui farò il pieno nei prossimi giorni, mi sa. La città, medio-piccola, è graziosa, sono molte le case medievali a graticcio, alcune in vendita, ben tenute, una costante da qui a Strasburgo. Ci metto un po’ a rendermene conto ma sento musica. Intendo fuori dalla mia testa e non sono io. Credo. Sì, musica, diffusa. Mi accorgo che lungo i muri delle vie del commercio, centrali, sono appesi altoparlanti che diffondono musica a buon volume. E pop francese contemporaneo, pure, mica Liò. Illegale. Il centro, oltre alla cattedrale, è caratterizzata dal gotico fiammeggiante – sempre esagerati, i franzosi, si chiama dappertutto fiorito e dovreste vedere quello belga, care le mie guide – del palazzo di Jacques Cœur. Il quale faceva uno dei mestieri più redditizi e più pericolosi del passato: l’amministratore delle finanze del re, in questo caso Carlo VII. Perché è un attimo che quello pensi che gli stai fregando un baiocco, un soldino, o che qualcuno gli insinui il dubbio all’orecchio, che la disgrazia ti cade addosso a valanga, vedi Fouquet, per dire. E, infatti, a Cœur andò persino bene, salvando le penne e fuggendo su un’isola greca a fare, presumibilmente, il mendicante.
La cattedrale è enorme, monumentale, è nella sua natura gotica esserlo, la sproporzione con l’altezza degli edifici della città è impressionante, doveva essere vista da lontano e mettere in chiaro certe cose fin da subito. Oddio, anche per chi ci abitava accanto. Quando uno dei due campanili fece un po’ la faccia strana ed espresse una vaga volontà di venir giù, gli schiaffarono a fianco un contrafforte grosso come due torri di Pisa. Magari cocciuto ma efficace. Ciò che contraddistingue questa cattedrale, l’altezza spropositata è fatto comune, sono le vetrate originali dal dodicesimo secolo in poi e certi bei diavolazzi sul portale che seviziano i cattivoni che escono dalle tombe in quel giorno là.
Un paio di fiumolini circondano la città, l’Auron e l’Yèvre, ed entrambi hanno la velocità di un lavandino che tracima e l’odore di una palude d’estate. Ma è normale, sono le paludi di Vercingetorige, non è che la morfologia del luogo sia cambiata. A nord della città le acque ferme sono state organizzate e ne hanno tratto orti e giardinetti di svago, suddivisi non si capisce se spontaneamente, socialmente o cosa. La zona è chiamata correttamente Marais, acquitrino (no, a Parigi è diverso), ed è curiosamente rappresentata sulla mappa di Gugol, io pensavo fosse un errore e mi trovassi in una Venezia tirata con la squadra.
L’acqua effettivamente ristagna eccome ma credo all’insalata non importi. Bene Bourges, domani mi sposto di nuovo.
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