Concita De Gregorio, con la quale da tempo non prenderei nemmeno il caffè, scrive ieri cose sacrosante:
Anche meno enfasi, in generale, aiuterebbe. Soprattutto nei giornali, che – capisco – le lettere che entrano in un titolo sono poche ma serve uno sforzo: non tutto può essere boom, flop, choc o, quando in italiano, per esempio ieri, trionfo, disfatta, faccette nere o cappotto rosso. A parte il fatto che tutto questo alzare il fuoco aumenta lo stato d’ansia, genera un clima di allarme permanente che cambia segno da un giorno all’altro, però, dunque tanto vale non preoccuparsi mai, lasciar perdere. Soprattutto, in sostanza, non è vero.
Sono d’accordissimo e non solo, questo atteggiamento mi crea un mal di stomaco perenne che – a me, convinto fruitore di giornali, informazione e discussione politica da sempre – mi sta obbligando al distacco e al disinteresse, che sia Repubblica, il Manifesto, Radio Popolare, il Cronista di Viggiù o altro. Prosegue:
Non è che l’Italia l’altro ieri era di destra e oggi, dal giorno alla notte, è di sinistra. Né l’uno né l’altro. Hanno votato sei milioni di persone su cinquanta, soprattutto nelle grandi città. Più della metà di quelli che potevano farlo non è andata a votare per ragioni diverse, a volte più d’una. I candidati erano così così, niente di appassionante a tutte le latitudini, ma quelli di destra erano peggio. I minimi storici. La Lega di lotta e di governo confonde le idee, uno non capisce se sta dentro o sta fuori. Gli assalti alla Cgil di pregiudicati a torso nudo non devono aver appassionato l’elettorato conservatore borghese.
(…) Alla fine, la barca va. Non credo che si segnali un cambio d’epoca. Semplicemente la sinistra, in campo ristretto, a questo giro ha fatto meglio.
Naturalmente De Gregorio non accenna a quante copie in più riesca a vendere il giornale per cui lavora quando alza i toni e aumenta l’enfasi (due giorni fa su Trieste titolava: «Italia a rischio blocco» per qualche ritardato interessato al porto, come si è visto), né quanto questo meccanismo faccia comodo a tutti, dalla classe politica che si trova riportata ogni giorno in prima pagina all’ultimo quotidiano che per non perdere lettori deve sparare, gioiosamente, il titolo a nove colonne. Né, peraltro, di come questa cosa sia del tutto trasversale, di come anche a sinistra ci sia, da sempre, una specie di pessimismo soddisfatto nel ripetersi tra compagni e amici come tutto vada male e sia irrecuperabile, senza rendersi conto di farsi la terapia aggratis sulle spalle di qualcun altro e poi riprendere come nulla fosse.
Chi ci perde, in tutto questo? Ci perde l’elettore, ci perdono le persone dotate di coscienza che, anche se dotate di buona volontà, per sopravvivere all’ansia, all’allarme permanente si distaccano, si disamorano, si dedicano al giardinaggio per non tormentarsi le interiora ogni giorno. Come capita a me, che nel mio piccolo per stare a questa pagina ho smesso da un bel po’ di fare l’almanacco. Persone che, poi, magari, come esito ogni tanto non vanno più nemmeno a votare.
E sarà a quel punto, per concludere il cerchio e già ci siamo, i titoloni dei giornali sull’assenteismo, sul disinteresse e sulla gente che non va più a votare e sulla degenerazione della democrazia, sempre più forte, sul ruolo di internet, sulla perdita della socialità. Senza prendersi, quasi mai, la briga di capire davvero perché e, forse, dirsi che se ne ha un po’ di colpa.