Qualche giorno fa ero a Occhiobello a guardare il Po.
Al di là della bellezza del momento, questo è più o meno il posto in cui si verificò una delle tre rotte del Po la sera del 14 novembre 1951, la cosiddetta alluvione del Polesine. In rapida successione, il Po sfondò gli argini in tre punti e riversò circa due terzi della sua portata del momento per le campagne e per i paesi del Veneto meridionale, le tre bocche rimasero aperte per trentasette giorni e, difficile farsene un’idea, tracimarono circa otto miliardi di metri cubi di acqua, sufficienti a ricoprire quasi tutta la provincia di Rovigo. Notevole il ben più antico proverbio polesano: «Dove no se crede, l’acqua rompe».
Oggi gli argini sono molto più alti e arretrati rispetto a un tempo, anche se – lo ricordo personalmente nel 1994 quando l’acqua arrivò quasi in casa e la mia libreria preferita fu sommersa – la questione del livello dell’acqua del Po è sempre di attualità. Era una giornata magnifica, qualche giorno fa, il fiume era placido e tutto invitava a stare. E contemplare.
Mi raccontano una storia. Immediatamente, alla notizia della rotta del fiume, gli aiuti da tutto il nord Italia si precipitarono nel rodigino, per soccorrere persone e bestie, in particolare a Occhiobello si ricordano con riconoscenza i vigili del fuoco di San Benedetto Po, accorsi prontamente con barche e uomini ed efficaci nei salvataggi. Tra i ricordi, mi dicono – riporto come mi hanno raccontato – che a fronte dell’attivismo dei soccorsi, colpì una certa qual rassegnazione, mista o confondibile con indifferenza, degli abitanti di Occhiobello, i quali non si adoperarono più di tanto nel recupero di chi era rimasto prigioniero in casa o degli animali nelle stalle. Con le dovute eccezioni, ovvio. Le spiegazioni a tale atteggiamento sono state molte, nel tempo, tra cui il fatto che gli animali e le case non fossero di proprietà dei lavoranti, ecco l’indifferenza, oppure uno stato traumatico connesso all’evento catastrofico che toglierebbe in molti la voglia di fare. Sembra che proprio il caso di Occhiobello sia diventato di studio per una certa branca della psicologia post-traumatica che studia certe reazioni delle popolazioni in caso di, appunto, catastrofe.
Dopo di che, è pur sempre qui che la saggezza popolare dice: «De quelo che i dixe o che se sente, credi gnente; de quelo che te sa, la metà de la metà» e io, ubbidiente, mi ci attengo e torno a guardare il fiume, meraviglioso.