L’11 gennaio si è aperto in Egitto, a Sharm el Sheikh, il World youth forum: una manifestazione in stile nordcoreano organizzata per celebrare il regime egiziano – il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi era in prima fila, raggiante – facendo finta di parlare di sviluppo, progresso, diritti umani, libertà, democrazia, cultura, climate change. Tutte cose impossibili nell’Egitto del dittatore criminale al Sisi e che suonano come irreali in questo frangente.
Alla kermesse del regime è stata invitata anche l’attrice spagnola Itziar Ituño, una delle protagoniste de la Casa di carta, la cui consapevolezza è evidentemente scarsa, oppure se ne frega nonostante l’età e il ruolo che ha nella serie tv. Tra le cose paradossali, oltre al fatto che la serie è percepita come la rappresentazione di un’efficace ribellione al sistema, e non lo è affatto, è che nella sua colonna sonora ha Bella ciao, a dir poco impropriamente. E la canzone stessa, in un accostamento pop tra serie, canzone e festa dei giovani, è stata suonata e cantata di fronte allo stato maggiore egiziano, al Sisi compreso, i quali beati applaudivano a una bella canzone tradizionale dalla bella melodia. Il cui significato sarebbe, però, come molti sanno ma non certo gli sceneggiatori della Casa di carta o i papaveri egiziani, la rivolta proprio contro i tiranni come loro.
La stampa di regime celebra, per esempio Youm al Sabaa scrive: «la cultura [ha] un grande ruolo nel curare le nostre ferite. Grazie a lei possiamo superare le sfide importanti di oggi con più determinazione», il che suona ancor più scellerato in un paese in cui le persone che si occupano di cultura sono tutte in carcere quando non eliminate fisicamente. Giulio Regeni è uno dei tanti.
Partecipare alla celebrazione del tiranno rende senz’altro complici, contribuire a dare una patina di modernità e progressismo a un regime anacronistico e spietato è senz’altro una responsabilità di cui bisognerebbe essere chiamati a rispondere. Perché al Sisi sa benissimo quello che fa, e lo fa. Altri, che per soldi vanno ovunque senza porsi domande, invece? Citando Gramsci, odio anch’io gli indifferenti, sono il peso della storia: «Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime».