Eh sì, è il cinque: Bella Immortal! benefica / Fede ai trionfi avvezza! / Scrivi ancor questo, allegrati; / Chè più superba altezza / Al disonor del Golgota / Giammai non si chinò. E manca poco al Manzoni per chiudere, alle stanche ceneri e al magnifico atterra e suscita. Niente da dire, sapeva scrivere, mica lo scopro io.
Sarà che, però, amo poco le odi e le trombonate, specie se infarcite di Fedi e Provvidenze che interagiscono strettamente con le vicende umane, il mio trasporto per le manzonianate è limitato. Ne sfagiola un cantico / Che forse non morrà, furbone. Di certo non convengo con il Massimo / Fattor, che volle in lui / Del creator suo spirito / Più vasta orma stampar, ma capisco l’ode. Resta la riconoscenza al rivoluzionario per aver spazzato via la polvere dell’ancièn su tutta l’Europa e ad aver minato le basi delle poche monarchie e aristrocrazie sopravvissute. E se questo ci è costato qualche cavallo nei refettori dei monasteri o dover andare al Louvre per vedere certi quadri, pace.
La spoglia immemore diventò tale in mezzo a una pletora di persone, perché per quanto in esilio un ex imperatore, due volte sull’altar, la sua bella corte se la tirava dietro. E poi, essendo nell’isola, vuoi mettere l’avvenimento dell’esserci mentre stira le gambe?
Una rappresentazione credibile è la prima immagine in alto, una bella folla di astanti che, per motivi diversi che andavano dall’affetto al dovere alla curiosità, assistette al trapasso. Il gran maresciallo Henri-Gatien Bertrand, fedele compagno e servitore, e il generale Charles Tristan de Montholon, entrambi autori di memorie dell’esilio napoleonesco e rivali per la posizione di primo amico. Chi, invece, non era amato dalla spoglia quando vivente era il dottor Francesco Antommarchi, inviato a sant’Elena dalla madre dell’imperatore e autore di un libro di memorie del tutto inattendibile. Sempre lei, gli mandò anche un cappellano, l’abate Angelo Paolo Vignali, entrambi costretti alla residenza isolana fin dal 1819. Chi non era contenta per nulla dell’esilio toccatole era la moglie di Bertrand, la contessa Françoise Elisabeth “Fanny” Bertrand, presente con i suoi figli, uno dei quali oltre a essere chiamato Napoleone ne portò pure le ceneri (è il ragazzo affranto tutto a sinistra con la mano sulla fronte). Dato il rango, ecco un valletto, Louis Marchand, vicino a N. fin dal 1814, uno dei servi più fedeli, “Ali”, Louis Étienne Saint-Denis, noto come “il Mamluk Ali” e la sua moglie inglese ma cattolica Mary ‘Betsy’ Hall, i camerieri Jean Abra(ha)m Noverraz, svizzero, e sua moglie Joséphine Brulé. E il cuoco? Eccolo, anzi eccoli: Jean Baptiste Alexandre Pierron, esperto di dessert, e Jacques Chandelier, per il resto, inviato dalla sorella Paolina. Il maggiordomo Jacques Coursot chiude la servitù stretta. Infine, tre ufficiali inglesi, con comprensibili compiti di controllo: un medico, il dottor Francis Burton, chirurgo irlandese che impresse la maschera funebre, il dottor Archibald Arnott, chirurgo pure lui, e il capitano William Crokat, scozzese, che portò a Londra la notizia della morte dell’odiato franzoso.
E i dì nell’ozio / Chiuse in sì breve sponda e bon. Ma la memoria era destinata a durare, persino fino a oggi, Segno d’immensa invidia / E di pietà profonda, / D’inestinguibil odio / E d’indomato amor. E suscita ancora discussioni e pareri avversi, basti pensare, per fare un esempio, che qui da noi con la locuzione una Waterloo intendiamo una tremenda e profonda sconfitta, ragione per cui non ci toponomiamo le strade, continuando dunque a tenere, in fondo, per l’imperatore e a parteggiare per le sue sorti anche oggi, duecentouno anni dopo. Ma son quelle glorie umane, alla fine, un po’ vere e un po’ no, in vacca.