Ogni volta che mi capita, vado a Vicenza. Perché sia che si insegua un sogno pigafettiano, sia che ci si voglia lustrare gli occhi con la perfezione olimpica del teatro, sia che si sia palladiani come me, sia che si abbia quel desiderio di gatto al palato, ecco, la destinazione vale il viaggio.
Ma siccome queste sono le mie “guide inutili” – ovvero per le indicazioni vere arrangiatevi, in giro c’è un sacco di gente che sa le cose – a me interessa parlare qui di una cosa specifica a Vicenza. Vado.
Se a certe persone l’afflato al cibo viene improvviso e dirompente e bisogna provvedervi d’urgenza causa rischio morsi, così viene alla mia amica C. e in poco troviamo un posto dove mangiare; sul muro di fronte, c’è questa bombolettata di street art che rimanda, direttamente e con evidenza, a un altro posto di Vicenza.
[Ah, se la vedete, di fronte si mangia molto bene].
Esatto, la basilica. La basilica palladiana. Ricordando che la basilica nasce come edificio civile, là dove si trattano gli affari, i commerci e le dispute giuridiche, e che tale è a Vicenza, eccola in tutta la sua sfolgorante e angolare bellezza nella mia foto:
Ora mi tocca spiegare un paio di cose, se no non si capisce. La basilica palladiana era prima il palazzo della Ragione, ovvero un edificio medievale di mattoni, con logge a volte, al cui primo piano stavano botteghe e al secondo un’enorme sala di ispirazione veneziana per l’amministrazione della giustizia e le trattative commerciali, il tutto un po’ sghimbescio e irregolare, tant’è che ci passava una via in mezzo, prima, essendo frutto di sovrapposizioni di secoli. La tipologia è presente in molte altre città della pianura padana, l’esemplare più eccellente è a Padova.
Bene. Al volger del Rinascimento, ai vicentini come a tutti gli altri gli vengono un po’ a noia le forme medievali, quei mattoni sghimbesci, quelle finestre una alta e una bassa, quelle volte un po’ dirupate e anche scassine, a dirla tutta. Allora, e la faccio brevissima, ci pensano su più di un secolo, coinvolgendo fiori di architetti, cominciando in un modo e poi cambiando idea, a un certo punto ne crolla pure un angolo, finché un ancora poco noto Andrea di Pietro della Gondola poi Palladio presenta un progetto che viene approvato, grazie anche al caldeggiamento dei maggiorenti della città, leggi Trissino e Valmarana.
L’idea è dotare il palazzo della Ragione di un involucro esterno di marmo che regolarizzi le forme e laddove sia impossibile farlo, che dia l’illusione che lo siano. Mica si può tirar giù tutto e ricostruire, costa un sacco di sghei. E Palladio sa cosa si può usare in questi casi: la serliana. Che è quell’elemento formato da un arco a tutto sesto affiancato a destra e sinistra da due aperture con un architrave sorretta da due colonne (o due coppie, vedi Palladio). E che nonostante abbia il nome di Sebastiano Serlio, architetto classicista del Cinquecento, è in realtà un elemento architettonico romano e bizantino, a Spalato al palazzo di Diocleziano si possono vedere. Ecco le serliane d’angolo della basilica palladiana, dai Quattro Libri dell’Architettura:
E vualà, la basilica tutta bella regolare che ancora oggi è lì da guardare. Bravo Palladio.
Ma il trucco, l’ho detto, c’è. Ed è questo: la serliana mantiene immutato l’arco, ed è qui che avviene l’illusione e l’occhio si inganna, ma varia di volta in volta la distanza delle colonne dai pilastri, cioè la dimensione delle aperture laterali. Lo disegno che si capisce meglio:
Non ce n’è una uguale all’altra, le variazioni son talmente spinte che in alcuni casi, in un angolo per esempio, ha dovuto togliere i tondi, al primo piano, o devono essere mantenuti pieni per non indebolire la struttura, talmente è stretta, al piano terra.
Ecco, fatta la magia, è ancora lì da vedere, meglio se contemplare. Ed è fatta anche la guida, quel che avevo da dire l’ho detto. Quindi, baccalà.
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