minidiario scritto un po’ così di un paio di giorni in giro nei, ehm, dintorni di Roma: tre, i bacili, van wittel, usare la conoscenza per fare cose sagge e belle

Sempre per la questione discutibile dei dintorni, che lo diventano se raggiungibili in poco – per cui per fare un esempio su Roma, Napoli è più dintorno di Tivoli – vado a Caserta. Treno dritto per Lecce, un’ora secca. Niente male, considerando ciò che offre. La reggia, ovviamente. Che è pure, proprio proprio, sulla via Appia, son commosso. Qui la storia è complicata e implica il matrimonio di Elisabetta Farnese da Parma con il re Filippo dalla Spagna, la successione sfortunata di un certo numero di figliastri – di lui, che caso – fino ad arrivare al primogenito di lei, Carlo, che, grazie alla guerra di successione polacca, sì, polacca, acquisì tra le altre cose il regno di Napoli. Settecento, comunque. Poiché Napoli era troppo esposta al mare, e già gli inglesi avevano spadroneggiato non poco, e alle intemperie del Vesuvio, Carlo comprò dai Caetani il territorio di Caserta per farvi casa di vacanza. E così fu, grazie all’architetto di corte Vanvitelli, nella seconda parte del Settecento. Loro non lo sapevano ma erano un po’ al limite di un’epoca e la reggia sarebbe servita poco, come poco sarebbe durata la dinastia dei re napoletani e Carlo stesso. Prima Murat, poi la restaurazione, breve, e poi la caduta con l’Italia unita, cui seguì la scomparsa di buona parte delle monarchie europee. Pensavano di durare in eterno o, comunque, parecchio. L’avessero saputo, avrebbero speso i sette milioni di soldi in altro modo, immagino, invece che costruire la reggia più grande del mondo (poi abbassano la voce, quando uno dice Versailles?, e dicono per volume). Poi la storia continua che ci girano i film e ci vanno i turisti, cioè io.

Il violino, non oggi. Purtroppo.

C’è una buffa storia che ho raccontato tempo fa sulla reggia appena incamerata dai Savoia, e aveva a che fare con dei bacili a forma di chitarra di uso sconosciuto per quei buzzurri del nord. Ho il vago sospetto che, come tante altre storie, faccia parte di una propaganda filoborbonica ancora attuale, che mette l’accento su quanto il regno delle Due Sicilie fosse avanzato e fiorente rispetto a quello di Sardegna e Piemonte. La questione è ancora viva, si è visto nel centocinquantesimo dell’Italia unita, francamente però son partigianerie noiose e di poca importanza storica, buone per i convegnetti locali terreno di conquista di storici improvvisati. Di sicuro il regno era evoluto, sperimentava senz’altro commerci e progresso, la prima ferrovia italiana a doppio binario fu la Napoli-Portici, la zona era ricca fin da Ercolano e Pompei, le industrie c’erano. Come che sia, al di là delle polemiche, che ci siano i bidet è un fatto, bravi e netti.

La stazione è proprio di fronte all’enorme piazza della Reggia, il biglietto si compra online, francamente è difficile chiedere di più. Biglietto Reggia più parco, è ovvio, perché il giardinone, a forma di enorme violino, è altrettanto interessante. Lunghetto, parliamo di chilometri e centinaia di ettari, risparmiati per fortuna dalla voracità di Caserta nuova. Degli appartamenti e delle sale di rappresentanza, la cosa più impressionante è lo scalone con il vestibolo di raccordo sopra, foresta di colonne e archi colossali, ben lo sanno i registi che qui hanno ambientato scene persino di fantascienza. Io un pochetto più di oro e marmi in giro l’avrei messo, se devo essere sincero. Certo che se poi riempi ogni cosa di monogrammi, anche gli schienali imbottiti delle sedie, poi arriva Giuseppe Bonaparte che li cambia tutti e poi quando si torna tocca di nuovo scalpellare e scucire tutto. C’è pure un vasone di marmo dono del papa a ringraziamento dell’ospitalità a Gaeta, quando scappò dopo i fatti del ’49. Ah, se lo fossero tenuto, chissà come sarebbe andata. Io, lo ammetto, prediligo le sale colossali, al ventottesimo salottino vellutato con vedutisti partenopei e vasetti di porcellana di Capodimonte, ho qualche mancamento. Non male la stanza da letto di Ferdinando II il cui mobilio fu interamente bruciato nel 1859, alla sua morte per supposta malattia contagiosa. No, mi spiace, io non glielo porto il latte, nonono, poi metti che tocco il comodino per sbaglio.
Aggredisco il parco. Sono circa quattro chilometri in linea retta, di vasca in vasca, di fontana in fontana, con rampa finale alle cascate dell’acquedotto carolino. Affittano bici, bici elettriche, c’è un pullmino che fa la corsa fin su e per fortuna che col nuovo direttore, persona civile, hanno smesso di affittare i quad. Io vado a piedi, perché devo testare tutto, nonostante i settantanove gradi centigradi centosei percepiti. E poi bisogna pure tornare.

Ma è come fosse mio, come se fossi Ferdinando qualcosa che passeggia ragionando di Ragion di Stato, diffidando del real amministratore. Chissà chi è tutta ‘sta gente nel mio giardino? Mah, voleranno teste prima o poi.
Voglio vedere ancora una cosa, qui, ma non ci arrivo a piedi. Contratto con un tassista una tariffa ragionevole e andiamo verso Maddaloni, nella valle, rispettando qualche luogo comune: niente cinture, riserva sparata, mezza strada con le ruote oltre la linea continua. Però è simpatico. Voglio vedere, e lo vedo, l’acquedotto carolino, un’oretta di gita. È talmente imponente che pare romano antico, circa sessanta metri d’altezza, ma è invece vanvitelliano, perché porta l’acqua alle vasche del parco reale. Che bravo, Vanvitelli, regge, giardini, idraulica, acquedotti colossali, decisamente versatile. Tre ordini di archi, cielo azzurro, manco un marciapiede per stare, tipo camoscio di notte sull’autostrada. Ma il punto, ancora, è: costruire un artefattone del genere per portare l’acqua e pare che poi uno la spreca? Ma per nulla, prima nelle vasche e poi nell’acquedotto cittadino e per i servizi della reggia. Troppa fatica e troppo costosa, l’acqua. È ancora così, dovrebbe, altro che piscinette d’acqua potabile al Brico.

Ci sarebbero a tiro santa Maria Capua a Vetere e Capua ma troppo per un giorno solo di gita fuori porta. Mantengo il segnalino sulla mappa, natavolta. Reintegro i liquidi consumati nell’impresa del parco della reggia con un bombolotto di ricotta e uvetta che pesa quanto un sampietrino, riesco a farlo scendere con un cappuccino rovente – il trucco è sempre lo stesso: scalda il tuo corpo più dell’ambiente esterno e avrai fresco – e mi dichiaro soddisfatto. Un saluto a Vanvitelli nel suo parchetto, per inciso il suo babbo dipingeva bene e suo figlio seguì con valore le orme paterne, e via di ritorno, con il comodo treno.


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