Quattro anni e mezzo, a dire il vero, grazie all’ingenuità ancora dei cinque stelle e al totale disinteresse della destra per le sorti del paese. Silurato Draghi in favore delle elezioni, assurde a settembre, la legislatura va a chiudersi e restano pochi bei ricordi, molte macerie, una montagna di cretinate e di vergogna di tre governi in cinque anni.
In attesa, ilsignoreabbiapietà, di un treno carico di pessime cose lanciato a bomba contro molti di noi il 25 settembre, giova fare una carrellatina di diapositive di ciò che è stato politicamente dal 2018 a oggi, per sommi capi e per discese azzardate e una sola risalita. Scelta mia, come al solito insindacabile. Andiamo.
Risultati del voto divisi in tre, il botto lo fece certamente il movimento cinque stelle, quello qui sotto rappresentato da uno che ora ne è uscito ed è andato a sinistra e un altro che ha fondato una listina propria caricando tutto il peggio di no vax, terrapiattisti, complottisti e dementi vari. Cioè quel che già c’era nel movimento, la bad company.
Resterà il vano tentativo di Bersani, l’unico alla fine con cui i cinquestellini non siano andati, quelle assurde dirette di Grillo e compagnia bella ai tavoli delle trattative, sceneggiate, e tutto il cosare di cervello che Di Maio, Salvini e scherani vari insieme misero nel “contratto per il governo del cambiamento”. Che non ci voleva mica uno statista a capire già allora che roba era.
Poi, nella fretta e furia di dimostrare quanto si stesse facendo, uno dei momenti più belli: quando sconfiggemmo la povertà. Che momento. Infatti, da allora essa non esiste più, la si pensa come un concetto astratto, appartenente al passato, una cosa come le pitture rupestri. Che epoca.
Poi, dopo una sequela infinita di navi bloccate, porti fintamente chiusi, cause, torti inenarrabili verso coloro che erano in balia delle onde, un fiume di sciocchezze e volgarità, venne puntuale l’estate dello svago, della spensieratezza, del potere esercitato alla consolle, dei mojito, presumibilmente della cocaina, del sudore, del grasso e dell’imbecillità sovrana che poi portò al suicidio politico.
E venne uno dei momenti più raccapriccianti che io ricordi. Uno, il sorteggiato a capo del governo, mai visto né sentito prima del 2018, che insultò per una mezz’ora buona l’altro, il ministro dei porti e capo politico della destra, il quale non riuscì a fare di meglio che scuotere la testa tutto il tempo e baciare, in favore di telecamera, il crocifisso e rosario che teneva sul tavolo. Sembrava di guardare un documentario zavattiniano sull’Italia degli anni Cinquanta, rappresentata da una famiglia con figlio grande, grosso e ciula, dallo sguardo bovino che, inabile al lavoro che non sia nel campo, si unisce nel gesto a un paese vacuamente religioso, scaramantico, suscettibile, fino su al presidente della repubblica che fa le corna e tributa benemerenza al capo mafioso in visita. Orrendo, tutto.
L’abilità dell’uomo venuto dal nulla fu poi quella di rimanere in sella e dare il due (II) a un altro governo a proprio nome. Non sapeva, però, lo sciagurato che poco dopo sarebbe arrivata una pandemia coi controfiocchi, cosa che avrebbe saputo gestire al minimo sindacale. Ne trasse, invece, orgogliosa occasione di apparire di continuo, far pendere dalle proprie labbra un paese, ingarbugliare le cose a forza di regolamenti e decreti bizantini comunicati via social dopo la mezzanotte, senza riuscire a contrastare il potere locale dei governatori, ebbri dello stesso medesimo potere.
Nel bel mezzo del secondo inverno di pandemia, con tempismo discutibile, un’azzardata crisi di governo portò a ciò che io pronosticai due anni prima, sbagliando di due mesi, ovvero al governo della più rispettabile e convincente personalità che ci fosse nel paese. Le chiacchiere andarono a zero, le vaccinazioni cominciarono a essere fatte con regolarità, finiti i doppi comunicati di governo e regioni, fine dei supercommissari e degli hub faraonici senza scopo, arrivarono in regalo molti mesi di governo serio, lavoro, risultati e soprattutto silenzio. Come mi mancheranno.
Venne poi il momento di eleggere il nuovo capo di Stato. Quello vecchio era ormai un anno che andava in giro a salutare, ringraziare e specificare ogni volta che aveva finito, basta, a posto, voleva fare il nonno. E più lui lo diceva, più noi qui sapevamo che l’avrebbero incastrato. Prese pure casa – non comprare, gli dissi, affitta, ascolta me – e fece girare le foto, fece gli scatoloni per far capire e poi cosa successe? Ovvio.
Quel che lui, e anche noi, non sapeva è che un paio di settimane dopo la ri-nomina a capo delle forze armate sarebbe pure scoppiata una guerra dell’accidenti in Europa, oltre alle rogne che aveva potuto intuire da solo. Quello del suicidio politico, dei porti, dei cocktails colse l’occasione per farsi sbeffeggiare in giro per l’Europa per le sue posizioni filoputiniane ma, incurante come sanno fare gli oggetti, proseguì la sua vita fatta di dichiarazioni a caso e azioni ancor più casuali.
Il resto, poi, è storia recente. Come detto, l’avvocato venuto dal nulla e desideroso, evidentemente, di tornarci, cascò nel trappolone tesogli dalla destra, il governo cadde con sette mesi di anticipo, si decise per la prima volta nella storia della Repubblica di votare nella seconda metà dell’anno, scelta improvvida e con tempi strettissimi, ci fu un fuggi fuggi generale e un riassestamento complessivo delle pedine in campo, e poi via, verso una campagna elettorale come sempre vuota di qualsiasi contenuto – e sì che ce ne sarebbero, acqua, covid, guerra, finanze, lavoro, quarta stagione di Boris – ma ricca di dichiarazioni rilanciate con eco ovunque. In attesa dell’articolo, perché arriva, che ci comunicherà che il parlamento, nonostante sia stato ridotto di un terzo, costa allo Stato più di prima, aspetto il treno carico di rifiuti pericolosi che fa già sentire il suo fischio, lanciato verso di noi a settembre e per il tempo a venire.
Un pronostico? Un anno e mezzo di sciagure, due forse visto l’inedito voto a settembre, tutte le scemenze possibili e ancora non immaginabili, e poi di nuovo commissariati, ovvero una figura di garanzia sostenuta da tutte le opposizioni che metta una toppa, ancora, allo scempio dei conti pubblici e del funzionamento dello stato che il prossimo governo inevitabilmente farà.
Un album più esteso e completo di didascalie l’ha fatto il Post qui, da cui ho pescato a mio piacere.
Parafrasando Hume, il fatto che sia già accaduto che dopo un governo di incompetenti fascistoidi l’Italia venisse “commissariata” dai cosiddetti tecnici non può dimostrare che accadrà la stessa cosa con il prossimo governo di fascistoidi (potrebbe anche andare peggio).
Caro GM – lieto di sentirti -, certo, diciamo che alla base del mio pronostico c’è più la legislatura del 2008, ovvero dimissioni di Berlusconi e governo Monti, che il 2018, stante anche la presenza di Mattarella al Quirinale.
È pur vero che, con questa legge elettorale, potremmo trovarci più in una situazione come nel 2001, con maggioranze cospicue in questo caso del tutto a destra. Vale la considerazione, però, della relativa perdita di sovranità rispetto ad allora in favore dell’UE e della manifesta incapacità politica di Meloni e Salvini.
Diciamo che il mio è un pronostico, ho usato quel termine piuttosto di “previsione” proprio per mettere l’accento sull’aspetto aleatorio, tipo totocalcio, imprevedibile e misto, ovviamente, ad anche un pezzetto di speranza, come nel tifo. Ma come dici tu, potrebbe andare peggio, è chiaro. Potrebbe anche piovere.
Caro Trivigante,
il piacere è tutto mio: il piacere di vedere che il tuo blog è sempre sul pezzo e che tu sei sempre in forma.
Compriamo un buon ombrello per la pioggia che verrà, magari anche una molletta per attapparci il naso e tiriamo avanti.