Da Ravenna c’è una bella stradona che va giù dritta dritta a Roma, mi fa comodo. Fin dal centro le indicazioni sono per la capitale con tanto di chilometri, trecentocinquanta, è più vicina di quanto non pensi, e fa senz’altro da riferimento anche culturale, Roma più che Milano. Mi fermo subito a Cesena perché c’è la biblioteca Malatestiana, vivessi lì ci andrei tutti i giorni. Ci sono due biblioteche quattrocentesche perfettamente conservate in Italia, una è la Laurenziana a Firenze e una è a Cesena, la Malatestiana, la più intoccata, nemmeno il riscaldamento. La cosa speciale, oltre a tutte, della Malatestiana è che i manoscritti e qualche raro incunabolo sono incatenati ai banchi di lettura, così i malviventi non se li rubano. Quindi, è il lettore ad andare al libro e non viceversa. Giusto, alla fine è il percorso che si è già fatto andando in biblioteca, ha senso. Per dare una misura, un buon manoscritto, nemmeno troppo miniato, nel Quattrocento costava come un medio palazzotto in centro, capito le catene? Arrivo presto, è chiusa, un cartello dice che il lunedì mattina lo è. A fianco, un A4 stampato dice che in agosto è aperta tutta la settimana, dalle nove. Bene. Chiedo, per scrupolo, alle impiegate della biblioteca moderna, mi dicono che sì, è aperta, ma dalle dieci. Insieme a una coppia di viaggiatori aspettiamo che apra. Non apre. Alle dieci e un quarto, abbordo un impiegato di passaggio che mi dice che il lunedì è chiusa. Ma come? Spiego la pappardella, i cartelli, le indicazioni, niente, è chiusa, i colleghi non ci sono. Facciamo presente le contraddizioni incontrate ed ecco la risposta maledetta: mi rendo conto ma non è di mia competenza. Bravo risposta esatta. Non lo riguarda, non sa chi se ne occupi, non può parlare con nessuno. Rimpalla. Lo so cosa voti, accidenti a te. Però così son già due in due giorni, cominciano a essere degli indizi di qualcosa. Te pensa i turisti, magari francesi o tedeschi, quanto capiscono questo genere di cose. Mollo a malincuore la biblioteca, faccio un breve giro per Cesena, riuscendo così sotto la rocca a rivedere l’unica campagna elettorale disponibile al momento, ovviamente lei, Meloni. Stavolta appare da una vetrina di quei negozi affittati per quello e dentro vuoti, tristi, sedi di comitati fantasma, il manifesto si rivolge ai patrioti, con la pi maiuscola, santoddio, lei sorride in posa e fa il gesto della vittoria con le dita come fosse il selfie di una ragazzina. Nessun messaggio politico nemmeno stavolta, meglio non averne.
Di Cesena ricordo il Moretti (Marino) di ‘A Cesena. Piove. È mercoledì’, meravigliosa sintesi di assenza di significato e di scopo, mi fa sempre ridere pensando ai moti dell’universo; alcuni anni fa qui mangiai le tagliatelle al ragù più buone della mia vita. Mi muovo.
L’appennino a sud di Cesena è magnifico, aperto, largo e dolce, le colline sono di molti verdi e vorrei farle tutte a piedi, ogni tanto un calanco che mette del giallo qua e là, ogni tanto un paesino, bei posti davvero. Poi si alza un po’, il percorso si incupisce e si ingola, e appena di là si comincia a scendere ci sono le sorgenti del Tevere. La strada che sto percorrendo, la Ravenna Perugia Orte Roma, è infatti la E45 Tiberina, non a caso. La ‘E’ davanti significa che è una dorsale europea e comincia in Norvegia su su, quasi al Capo, per scendere giù giù fino in Sicilia, all’altro capo. Dev’essere degli anni Sessanta, con le auto attuali stiamo appena nelle corsie, fa un po’ scempio della valle ma in effetti velocizza. Dopo un po’ mi stufo di essere veloce ed esco, piego per Sarsina, che sta un po’ più sopra. A chi ha gli studi classici, dirà qualcosa, infatti: Plauto. Non che lui ci sia, nonostante una ridicola ‘casa di Plauto’ sì e no medievale, né la città romana, sebbene tracce di pavimentazione e la solita piazza che ricalca il foro. Sono qui più che altro per un omaggio ai suoi fanfaroni, potrei pure incontrare un sosia, anzi Sosia, che si chiede se è ancora lui, quanto mi divertono le commedie plautine. Qui ci son già stato, conservo una foto di mio padre appoggiato al muro della chiesa, eravamo qui per lo stesso motivo di oggi. Aveva una giacca a vento perché pioveva e aveva appena scoperto di aver perso un po’ di soldi a causa della Lehmann brothers, l’umore variava. Ma Plauto ci rallegrava, come tante altre cose. Prendo un caffè in piazza per scrivere un po’, le notizie alla radio citano qua e là la borsa di Amsterdam e il costo del gas come fossero concetti chiari, già mi vedo gli schemini di Corriere e Repubblica per comprendere i meccanismi di formazione del prezzo delle energie, alla mia destra, finalmente, un segnale politico comprensibile in questa campagna elettorale, era ora.
A questo punto, potrebbe pure passare Plauto che ne sarei quasi meno sorpreso. Proseguo per stradine perché voglio andare a Caprese, un borghetto cucuzzolato in cima al quale il babbo di Michelangelo faceva il podestà. Ed è infatti qui che, in una casa podestarile, nacque il figlio così dotato. Ahah, eh sì, non era fiorentino. Pensare che poi uno da qui vada a progettare la cupola di San Pietro pare veramente racconto di fantasia. Son boschi tutto attorno, pini, siamo ancora alti, ma in fondo si intuisce un lago artificiale, uno sbarramento in terra al corso del Tevere, che è ancora piccoletto, e una piana che si apre che par tirata con la bolla. Passo da Pieve Santo Stefano, nota nel paese per essere la sede dell’Archivio Diaristico Nazionale, su iniziativa di Tutino, e proseguo per la mia destinazione, Anghiari. Ovvio, voglio vedere il prete, se gli spuntano le ali e se sa fare scivolarello su ringhiere di scale rinascimentali, che bravo era Ivan Graziani. Anghiari è nota per la famosa battaglia del 1440 che si combattè nella piana sotto, tra milanesi e una lega tra papato, fiorentini e veneziani. Vinsero i secondi ma giova ricordare l’ironia di Machiavelli: “Ed in tanta rotta e in sì lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d’altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò”. La battaglia è all’origine anche di un’altra storia, che si dilunga fino a oggi ed è per sommi capi e nel più breve tempo questa: la repubblica fiorentina commissionò a Leonardo e Michelangelo due affreschi, rispettivamente la battaglia di Anghiari e quella di Càscina, per adornare le due pareti lunghe ed enormi del salone dei Cinquecento a palazzo vecchio; Michelangelo preparò il solo cartone e si dileguò, avendo ricevuto la parete in ombra, Leonardo come suo solito dipinse con tecnica fallace, olio su intonaco invece dell’affresco, fortuna ne abbiamo una copia credo di Rubens perché il dipinto durò poco e niente; bene, fu chiamato Vasari per ricoprire la parete rovinata, il quale dipinse il suo affrescone, aggiungendo un cartiglio in alto con la scritta ‘cerca, trova’; siccome l’aveva già fatto un’altra volta, alcuni suppongono che abbia salvato la parete leonardesca con un muro ed è per questo che qualche anno fa il sindaco Renzi, tra il disappunto generale, si mise a bucherellare il Vasari alla ricerca del Leonardo perduto. Renzi, è andato, su, sempre alla ricerca di notorietà personale. Uff, l’ho raccontata tutta d’un fiato. Vasari l’ho scoperto quest’estate, decisamente sottovalutato. Le Vite, certo, ma c’è molto molto altro, la figura è del tutto rilevante. Ricapiterà più avanti.
Da queste parti, dipende dalla strada che pigli, giri a destra o sinistra ed è Romagna, Toscana, Marche o Umbria, ci si mette un momento a essere di qua o di là. Attenzione alle scelte, dunque. Anghiari è molto piacevole, tutta abbarbicata al di sopra di una piana, lo dicevo, amenissima che si perde a vista d’occhio e che pare piallata, forse in parte dal Tevere. A un certo punto c’è un centro-logistica grosso come una regione ma da qui non lo vedo e, dunque, al momento non esiste. Se a Pieve Santo Stefano erano i diari, ad Anghiari ha sede la Libera Università dell’autobiografia, anche in questa c’è lo zampino di Tutino, non son coincidenze. Ma son belle cose, i diari e le autobiografie, generi da coltivare. Io prediligo il primo, in forma rigorosamente privata, raramente parlo di me. Ma le autobiografie delle vite interessanti son da raccogliere e tramandare, eccome. Mentre contemplo Anghiari, consumo la mia merenda in piazza e osservo la statua di un non mai abbastanza celebrato Garibaldi che, sopra la scritta “O Roma o morte”, indica buffamente col dito una direzione, immagino di Roma, con gesto atletico talmente ampio da risultare comico (Oh, hai visto dellà?). Io, come mio solito, guardo il dito e non Roma, anche perché ho il sospetto che stia dall’altra parte. Ah, gli scultori.
La mia giornata sarà ancora lunga e contempla Sansepolcro e Città di Castello, con tutto ciò in ivi contenuto, Piero della Francesca sopra tutto, ma mi rendo conto che sono andato abbastanza lungo per oggi, per cui chiudo qui e rimando alla terza parte, mica è un diario quotidiano. Impressionante quante cose si facciano in un giorno, quando sono seduto alla scrivania non riesco proprio a crederci, a volte per progettare un bel viaggio bastano pochissimi giorni, a volte due o tre. Tendo a dimenticarmene. A Sansepolcro son pochi chilometri, c’è una strada che scende e dritta dritta dritta ci va senza nemmeno provare a curvare. La vedo, sarà facile.
Il segnale politico comprensibile è il simbolo del Partito Repubblicano o sono il crescione e la piadina ?
Il 25 settembre si potrebbe andare a Sarsina, votare repubblicano (credo siano dalle parti di +Europa, ammesso che ancora esistano) e soprattutto mangiare dell’ottima piadina e crescione.
Oddio, la piadina è di certo un segnale ma per quanto ne sappia non politico. Non ancora, almeno.
Il tuo programma mi piace molto, consideralo approvato con tutti gli onori (peraltro, oltre a piadine e crescioni, ci sono anche i rotolini, mmm).