Fuori è buio, ci sono quindici gradi, ho sognato parecchie volte queste temperature negli ultimi tre mesi. Sto ingoiando mezzo melone gelido di frigo perché andrebbe a male e sarebbe un peccato, chissà se me ne pentirò amaramente. Tanto lo saprò a breve. Prendo il me migliore, quello con gli occhi aperti, ricettivo, paziente e parto.
Scambiare i fine settimana con i giorni lavorativi si rivela sempre più una grande idea: ogni due settimane, a regime normale e ovviamente potendolo fare, ho a disposizione quattro giorni consecutivi, che sono una quantità più che sufficiente per fare dei giri sostanziosi. L’ultimo, per esempio, Ravenna, Cesena, Caprese bla bla bla Gubbio, San Leo, era da quattro. Quello prima, Orvieto, Viterbo, Caserta e Tivoli, idem. Con tre giorni già si fanno un sacco di cose, quattro non ne parliamo. Come stavolta, quindi sono ricco. E poi posso comunque lavorare un po’ anche in giro, è anzi meglio. Se devo essere creativo, i posti belli conciliano.
Arrivo a Eindhoven ma scappo subito, ci tornerò alla fine perché c’è una cosa che voglio vedere. E scappo anche dalla nederlandia per andare in Belgio. Per dirla più collocata, Fiandre orientali e occidentali con un tocco di Brabante. C’è un’infilata di gioielli che meritano il concatenamento, poco sforzo e grande resa, paiono tirati con la riga. Mi sto dilungando un po’ non tanto per raccontare quel che faccio o non faccio, il che insomma ha anche l’interesse che ha, pochino, quanto per condividere piccoli progetti di viaggio, facili da organizzare, da pochi giorni, densi però di posti che vale la pena vedere. Se qualcuno prima o poi mi dicesse che ne ha tratto ispirazione, mi farebbe piacere. Fin dal corso del Reno in cinque giorni o la Polonia in treno o il delta del Po in tre giorni negli anni scorsi, son suggerimenti, li si prenda così.
Il giro di stavolta parte da Anversa per poi puntare dritto al mare del Nord e poi tornare indietro per tappe. E così faccio, sono ad Anversa che è una grossa città portuale sullo Scheldt, un fiumone che sorge in Francia e si getta nel mare più a nord. E subito la domanda: sarà vero come dicono qui che si tratta del secondo porto europeo dopo, sempre primo, Rotterdam? Ad Amburgo non sarebbero d’accordo, difficile dirlo per me umarell di fronte alle sfilate di gru. I giri dei porti di Rotterdam, Amburgo e, adesso, Anversa li ho fatti, posso dire che son tutti belli grandi. Tra le tre città, però, Anversa è quella con la storia più lunga e importante, su quello non ci piove. Cioè sì, ci piove, ora. Abitata da sempre e con tracce romane, infinamai, a fine Quattrocento colse il declino di Bruges per raddoppiare la popolazione in vent’anni e diventare di gran lunga il centro di commercio più importante d’Europa, il nesso tra nord e mediterraneo e colonie: lane inglesi, zucchero di canna indiano, cuoi, spezie, legname svedese, allume italiano, vini francesi e spagnoli, ogni cosa si potesse scambiare, diamanti sopra tutto. Per dare una dimensione, l’imperatore Carlo V diceva che Anversa da sola fornisse redditi all’impero per sette volte rispetto a tutto quanto proveniente dalle Americhe, e sì che di roba ne rubavamo da là. Per questo, l’imperatore non toccò mai Anversa e ne rispettò l’autonomia, finanziaria, ideologica e religiosa, pur facendo parte dell’impero. Là dove c’è commercio c’è tolleranza, perché conviene. Cosa che non fece il figlio Filippo II, che la ereditò per la Spagna alla suddivisione tra impero e regno spagnolo nel 1555, prendendosela con i calvinisti che pian piano subivano il fascino della riforma; da una prima rivolta alla guerra dei Trent’anni, in cui lo Scheldt fu addirittura chiuso alla navigazione fino all’Ottocento, una parte dei mercanti e delle fortune della città si spostarono ad Amsterdam, nel mentre un avvicendarsi di complicazioni e rompicoglioni di prim’ordine, gli iconoclasti per esempio e Ignazio di Loyola e i suoi guerrieri gesuiti per farne un altro. Però serve saperlo: prima di tutto Anversa è in Belgio e non nei Paesi Bassi, come si direbbe, e qui son quasi tutti cattolici, a differenza dei vicini, anche se parlano un olandese imbastardito. I dissidi dei Trent’anni proseguirono fino al 1830, quando i Paesi Bassi meridionali si rivoltarono e fu inventato il Belgio. Con comodità degli inglesi. E non è che oggi le cose siano piane, viste le reciproche simpatie tra fiamminghi e valloni. Ma l’importanza e il ruolo di Anversa declinò sì ma mica poi troppo, basti pensare alle olimpiadi del 1920, svolte, appunto, qui.
La città, pur portuale, è affascinante, moderna e tradizionale, ricca, se la piazza principale ovviamente è il Grosso Mercato, Grote Markt, e una delle due torri della cattedrale è ancora oggi di proprietà del comune, perché una volta delle gilde dei commercianti, le zone degli ex magazzini del porto sono residenziali di alto livello, con le barche ormeggiate proprio sotto casa. Una grande e tradizionale accademia d’arte, vedi alla voce Rubens e van Gogh, un’università tecnica avanzata, un bel museo del commercio marittimo, un bel museone di arte moderna – noi di lettere chiamiamo così il periodo 1492-1815 – che era chiuso nel 2015 quando sono venuto qui la prima volta e lo è ancora, per ristrutturazione. E apre il 25, argh, non ce la faccio. Insomma, la città è vivace, grande e stimolante, un buon posto. Certo, è cara, un’insalata in un bar normale sono quindici euro, l’ingresso alla cattedrale dodici, un appartamento al sesto piano nella zona fighetta del porto nuovo due milioni. Però la birra, il cioccolato, i waffles, le ostriche e le patatine fritte costano niente niente, per cui dipende dalle proprie abitudini alimentari. Roba da sputare il fegato. E il clima è da mare del Nord, ovvio, ora diluvia e ci sono dieci gradi. Il che a me va benissimo, devo dire, tanto non dura mai più di mezz’ora e poi esce il sole.
A parte le già citate specialità belghe – ma sarà vera quella cosa dell’insalata belga? E figurati se ci sono i cavoletti, qui – il salmone è ovviamente molto diffuso e poco costoso ma è timidamente rosa, senza quella fissazione per l’arancione al limite della fosforescenza che abbiamo in Italia. Ne sto mangiando un quarto di quintale insieme a una verdura bianca a cubetti sconosciuta che non sa assolutamente di niente, delle palline che potrebbero essere invenzione del signor Kellogg e della misticanza che la globalizzazione ha portato qui, ma la cosa interessante – ecco, a me la laicizzazione dei riti che fanno al nord piace moltissimo – è che pur essendo un posto con tutte le sue cosine studiate e a posto, per un pranzo fichino, su una parete ha un’infilata di lavatrici per fare il bucato. Funzionanti. Cioè uno si porta il bucato, mangia la verdura che non sa di niente e un sacco di buon salmone, beve la birretta e intanto scrive, come sto facendo io, e poi ha pure fatto il bucato. Niente male. E sono quasi di fronte alla casa di Rubens, centro pieno. Ora però vado, devo vedere un paio di chiese strabocchevoli di dipinti di Rubens, anche se non è tra i miei prediletti, barocco e controriforma è una miscela soporifera, poi lavorare un po’ e a un certo punto, cosa che mi diverte abbastanza, partecipare all’assemblea condominiale. Visto che preferiscono farla in videoconferenza, eccovi serviti: io sarò da qualche parte ad Anversa seduto con una birretta ad ascoltare una parola sì e otto no, approvando qualsiasi cosa ed essendo d’accordo con chiunque.
Approvato, perdio. Approvato. Prot.
Bene, siamo ripartiti tutti, anche noi lettori sedentari. Mi era giunta voce che eri ad Anversa, ma non trovavo il minidiario e pensavo che ti fossi giustamente preso delle ferie complete. Meglio così. Ricordo bene quelle zone visitate più volte, anche se sicuramente molto più superficialmente di te, sono veramente belle ed in sintonia con il mio scarso amore mediterraneo.
Concordo con te, sono zone ricche di fascino e che ben si accordano con chi, come me e come te, da quanto dici, apprezza una certa compostezza nei modi. Non solo, ovvio, anche clima, cielo, ambiente e distribuzione della popolazione fanno la loro. Bello leggere che siamo ripartiti insieme, complimento notevole, grazie.