Nessuna delle due è un capolavoro, per carità, ne scrivo perché mi suscitano qualche considerazione. La prima è Super Pumped. The Battle For Uber, ovvero come esplicita il sottotitolo racconta la storia della nascita e della crescita di Uber. Il sopratitolo, invece, rimanda a una serie antologica in cui ogni stagione racconterà un’azienda, la prossima Facebook. Comunque, la vicenda di Uber è sostanzialmente quella di Travis Kalanick, cattivissimo e spregiudicato fondatore dell’azienda, classico ladro d’idee ma abile a svilupparle, fino alle sue forzate dimissioni (è storia, non uno spoiler). L’intreccio con Google, Apple, il governo cinese, gli autisti e l’automazione della guida, ne fa una buona storia. Ed è ben raccontata, seppur complessa. Bella anche la locandina, esplicita.
Il pensiero che mi è venuto è che non sempre, anzi quasi mai, si accoppiano nella stessa persona la capacità di avere una buona idea – intendo in termini di Silicon valley – e l’abilità di svilupparla, finanziarla, portarla a compimento e sostenerla a ogni costo. Ne sono testimonianza tutte le maggiori compagnie del settore, là dove chi l’ha sviluppata è poi accusato di aver rubato l’idea originaria, Zuckerberg su tutti, o al contrario chi invece ha avuto l’idea poi ha avuto bisogno di CEO e amministratori abili in grado di affrontare una concorrenza tutt’altro che facile, per esempio Page e Brin. Se Gates fa un po’ eccezione in questo, ma si è pur sempre appoggiato a qualche figura discutibile, Jobs con alti e bassi in qualche maniera ha incarnato l’unione delle due cose e, non a caso, è ancora oggi oggetto di venerazione, tecnologica e aziendale.
Uno che ha avuto l’idea, e qui vengo alla seconda serie, e che è ancora alla guida della sua società è il fondatore di Spotify, Daniel Ek, e la serie è The playlist. Se fosse rimasto da solo, sarebbe ancora nella sua stanzetta a giocare col compiuter, come tutti, però la sua rigidità e una certa cultura di stampo socialista diffusa in Svezia hanno contribuito al fatto che l’azienda diventasse quello che è, mantenendo qualche principio ideale.
La serie non è formidabile, tutt’altro, è anzi un filino lenta e piuttosto svedese, ha però il merito di utilizzare un espediente narrativo collaudato ed efficace: le sei puntate sono dedicate ciascuna a un protagonista della vicenda – il fondatore, il socio finanziatore, lo sviluppatore, l’avvocata eccetera – che di volta in volta ritiene di essere stato l’elemento fondamentale per il successo dell’intuizione. Detto per inciso, la variabilità del client che senza buffering fa chiamate p2p in prima battuta, poi anticipa le ricerche successive in modo predittivo e se così non è passa al server, peraltro ignorando certe perdite di pacchetti, è davvero sorprendente.
Il senso della narrazione, quindi, punta a sottolineare come la contribuzione sia stata molteplice e come sia, in effetti, impossibile attribuire pesi dettagliati alle azioni dei protagonisti nel corso degli anni, i quali restano sulle proprie posizioni soggettive.
Ed è a questo punto che mi sono venute in mente due situazioni italiane analoghe, per le quali è oggi di fatto impossibile ricostruirne i dettagli con precisione e delle quali non conosceremo, probabilmente, mai l’esatto andamento dei fatti. La prima è la vicenda del rapimento e omicidio Moro: i racconti dei brigatisti sono tanti e tali, ciascuno minato dagli interessi diversi di ogni protagonista – volontà di sminuire le proprie responsabilità, a volte proprio il contrario, protagonismo, vanità, memoria vacua, protezione di altri e così via – che oggi conosciamo a grandi linee l’andamento della vicenda ma restano molti passaggi oscuri impossibili da chiarire definitivamente. La seconda è la caduta del governo Mussolini il 25 luglio 1943: venti furono i protagonisti di quella notte, venti sono i racconti diversi spesso confluiti in libri, tante le ipotesi al punto che noi ancora oggi – essendo stati distrutti i verbali – non sappiamo come andò. Da Grandi in giù tutti si attribuirono un ruolo superiore alla realtà distorcendo i fatti, di questo ne siamo certi, perché per esempio la natura stessa del regime non permetteva certo di sfiduciare Mussolini, cosa che già contraddice molti dei racconti pervenuti. Gli storici più seri oggi concordano sul fatto che tale caduta non sarebbe avvenuta se in un certo qual modo non vi avesse contribuito lo stesso capo del regime, ma i dettagli e ciò che sia effettivamente successo quella notte resta per noi ancora sconosciuto. E sì che la vicenda non è certo secondaria. Eppure le motivazioni dei partecipanti – sminuire le proprie responsabilità pregresse, aumentare il proprio prestigio verso gli Alleati e il nuovo corso, protagonismo, ancora, e così via – inquinarono a tal punto i resoconti da costringere a un angolo la ricerca dei fatti.