Ragazzino, ero in un camper negli anni Ottanta, su una strada assolata come sempre accadeva nelle nostre lunghe estati girovaghe. Ero seduto davanti, allora si poteva, e si passava il tempo giocando, cantando, ridendo, commentando ciò che la strada offriva. E poi, se c’era l’autoradio o magari un mangianastri portatile, si ascoltava qualche cassetta o radio occasionale. In quel giorno d’estate, il nostro amico E. prima mi parlò di un gruppo, accennò un ritornello, “doo-doo-doo-da-doo”, e poi mi raccontò la canzone perché non avevamo l’autoradio. La cantammo a lungo, a pezzi, quel che sapevo l’avevo imparato lì. Una volta a casa, poi, parecchio dopo, mi prestò il disco e io mi innamorai. Era la mia musica, non che capissi granché, ma lo spirito positivo che percepivo, l’ottimismo e l’entusiasmo per le persone, le relazioni, il mondo, l’atteggiamento giocoso anche nei confronti delle cose serie e dolorose, la consapevolezza, quella tristezza produttiva e quella malinconia sottile che permettono la comprensione della vita, le melodie cantate con piacere, lo stare insieme, la politica attiva e le prese di posizione, quello volevo fosse il mio mondo.
E così è stato.
Era Suite: Judy Blue Eyes di Crosby, Stills and Nash con quel cantato alla fine tutti insieme e io bam! conquistato per sempre. Poi arrivarono Marrakesh Express, altra folgorazione, Teach Your Children, The Lee Shore, Carry On, Right Between the Eyes, Love the One You’re With, Southern Cross, Cathedral, Guinnevere, Wooden Ships, Lady of the Islands, You don’t have to cry e potrei andare avanti parecchio, fino alla mia preferita di sempre: Helplessly Hoping. Da lì si spalancarono mondi, gli stessi Stills e Crosby, anche Nash, dai, con Our house, i Buffalo Springfield, Neil Young, la west coast, i Jefferson Airplane, Cat Stevens con lo stesso spirito positivo, e così via. Una vita, la loro, la mia, la nostra. Che meraviglia.
Ieri David Crosby se n’è andato verso una costa ancor più lontana, la sua croce del sud, spero piena di quel sole, di quella musica e di quell’impegno che tanto gli piacevano, e sì, anche di tutto ciò che faceva stare insieme le persone a parlare, cantare, volersi bene, aspirare alla giustizia sociale. E alla pace.
Sto sentendo ora la sua voce cristallina in Suite: Judy Blue Eyes che emerge dai cori, che meraviglia, ogni volta è una grande compagnia, molte le suggestioni, la mia mente corre fantasiosa ancora adesso. Chiaro, erano Crosby, Stills and Nash, da allora ogni volta che ne ho desiderio metto su un loro disco, oggi accendo spozzifai, l’emozione è forte e la spinta emotiva non diminuisce. Ma Crosby, Stills and Nash io non li ho mai visti – un altro concerto mancato, lo so – e non li conoscevo di persona, ho accolto le loro canzoni e li apprezzo, direi che sono loro riconoscente, senz’altro, ma non troppo di più. Ma chi mi spalancò quel mondo, quelle idee, quel comune sentire di cui parlavo all’inizio, chi mi ha mostrato un’umanità di cui ho sentito subito di voler far parte è stato il nostro amico E., quel giorno e mille altre volte. Ecco, è lui il mio Crosby, Stills and Nash, il mio Crosbystillsandnash, è lui che incarna tutto ciò, ancora oggi. E anche oggi, quando ci siamo scambiati il dispiacere per la scomparsa di David Crosby, sono stato contento di condividere con lui questo comune sentire e di avere dentro di me, da parte mia, tutta la gratitudine per avermi accompagnato in quel pezzo di mondo e di storia, per essere stato ed essere tuttora il mio Crosbystillsandnash.