Aquisgrana è vicina al confine, anzi ai confini: il drie landen punt è qui vicino, il luogo dove convergono Germania, Paesi Bassi e Belgio. Ed è così, la stessa Aquisgrana è stata nel tempo nederlandica, belga, tedesca. Le case in alcune vie sono olandesi, le pasticcerie belghe, le carni tedesche. Il riferimento culturale è quasi più Bruxelles che Berlino, qui. Il concetto di Europa unita è molto più reale e concreto, è ciò che si sperimenta ogni giorno. Voglio sperimentarlo di più, opto per un’incursione nei Paesi Bassi, vado a Maastricht. È sulla mia mappetta di segnalini di cose da vedere, che luogo più simbolico di questo? E che ci vado a fare? A stringere degli accordi, ovvio. I tre pilastri dell’Europa unita sottoscritti qui nel 1992 furono epocali nel percorso dell’Unione, alla fine degli anni Ottanta furono uno degli argomenti dirompenti e ci attendevamo tutti di dover parlare tedesco da allora in poi.
Faccio una breve ricerca sugli alloggi e mi accorgo con un certo stupore che ci sono solo quattro camere disponibili in città e mediamente costano più di trecento euro a notte. Umm. Qui gatta ci cova, stanno facendo qualcosa e non mi hanno avvertito. Ci metto poco a scoprirlo, è la settimana di punta del Tefaf, la mostra di arte e antiquariato più importante del mondo, mondo!, se uno desidera un Brueghel questo è il posto. Magnifico, finalmente troverò un trumoncino come iddio comanda. Ripiego sulla puntata in giornata, il comodo bus da Aquisgrana ci mette circa un’ora, in mezzo all’ondulata campagna nederbelgotedesca. Ecco, se mi fossi mai chiesto dove sia il Limburgo (no), ora lo so. Soddisfazioni.
Sono ogni volta incredulo di quanto sia comodo viaggiare con telefono e rete, non posso non ripensare a quando, cartina alla mano, era necessario dedicare alcune ore alla ricerca di un posto dove dormire, chiedendo ostello per ostello, alberghino per alberghino, campeggio per campeggio. E se si era a piedi, come me ora, era davvero lunga, non era raro finissimo nelle stazioni o sulle panchine. Ogni volta son contento. Che meraviglia le città di medie dimensioni belle complessivamente ma senza nulla di particolare da vedere, penso a Toruń, Bordeaux, Delft, Cremona, Bamberg, Siviglia, per dirne alcune, Maastricht. Perché si può vagolare a caso, destra o sinistra a sentire del momento, compreso fermarsi a contemplare senza fretta. Senza il pensiero che qualcosa chiuda. Che poi mica vero, c’è sempre qualcosa da vedere e anche stavolta: il museo di scienze naturali. Infatti, sapevamolo, qui una volta era tutto mare tropicale, ora è tutta campagna. E nel mare tropicale c’erano le conchigliette che nel cretaceo fecero poi un solido strato di calcare in cui cementarono ogni cosa sul fondo del mare. Tra le ogni cosa, a fine Settecento trovarono una bestia lunga lunga e sconosciuta che chiamarono “il grosso animale di Maastricht” e che li fece sospettare che il mondo non era sempre stato identico a sé stesso.
Decenni dopo, dato che in città scorre la Mosa, lo chiamarono amichevolmente Mosasauro e tale è rimasto finora: un lucertolone nuotatore lungo dodici metri con denti che li raccomando e artigli e agile più di una guizzante sardina. Ne trovarono alcuni esemplari e uno scheletro intero, probabilmente divorato da squali una volta morto o lì vicino. Non conosco l’olandese e non riesco a capire se sia estinto o no. Nel dubbio, sto lontano dai canali. Il museo è poi pieno di conchiglie e fossili di ogni tipo e forma e dimensione ma è chiaro che da profano resto rapito dal grosso animale di Maastricht. Sento un amico restauratore, per qualche tempo pare riesca a trovare un invito per il Tefaf ma poi niente, è una cosa esaurita da mesi in cui si favoleggia si pasteggi a ostriche i primi due giorni riservati agli operatori. E addio al mio trumoncino. E al Brueghel. A proposito: in città, al Bonnefantenmuseum, c’è un bel dipinto di Brueghel in cui rappresenta il censimento di Erode in Palestina al tempo di Cristo ed è buffo perché è esattamente come gli altri suoi quadri con le scene campestri o cittadine nei Paesi Bassi, con le case a punta e con la neve e la gente che pattina. Ora, lo so che Brueghel sapeva, immagino fosse perché comunque la sua clientela era nederlandese e quello amava o, forse, rappresentare un soggetto sacro lo metteva al riparo da qualcosa, al momento non so, ma è piuttosto buffo da vedere.
Un fatto piuttosto interessante di Maastricht, curioso invero per un italiano, è che possiede una storica e grande università in cui l’insegnamento è basato su dibattiti e discussioni in classe tra gli studenti, i quali sono coordinati da studenti degli anni successivi, i tutors. Le lezioni con i professori sono assai rare e se ne vedono poche. Ho un amico che sarebbe molto molto contento di insegnare in questo modo, accorri, questo è il tuo posto. L’approccio pedagogico, l’apprendimento basato sui problemi, PBL, è affascinante, non ne so abbastanza per dirne qualcosa di sensato. Di sicuro, è un modo plausibile, un modo creativo, per superare quell’«intelligenza novecentesca» di cui parla Baricco che citavo alcuni post fa. Per quel poco che so, mi sa che se a Latino I mi avessero messo a discutere con i miei colleghi sarei probabilmente ancora là. Senza trumoncino, mi muovo verso est e torno indietro.