Visto che a Marsiglia un giorno e mezzo due sono senz’altro abbastanza – evitabile il musée des Beaux Arts de Marseille valgono invece la pena i resti dell’antico porto greco-focese incastrati nell’edilizia anni Settanta – viene voglia di fare la gita fuori porta. Certo, franzosi protestanti permettendo, visto che anche i treni patiscono mica poco. In stazione, la situazione si sta scaldando: annullati due terzi degli interregionali, beati che ancora li hanno, loro, ci si accalca sui regionali e sui velocissimi. Se per i secondi tutto è facile, c’è la boutique per l’acquisto e macchinette con funzioni contemporanee, per i primi, i regionali, bisogna penare: le macchinette hanno la sfera per scorrere le lettere e schiacciare quella giusta, il processo è una vera pena. In questo, meglio da noi.
La gita fuori porta è nella graziosa ma un po’ stufina Arles e nella magnifica Nîmes, ed è un anniversario, in qualche maniera, le ho viste e raccontate quindici anni fa: la prima a fine aprile (30), la seconda il giorno dopo nel glorioso primo maggio francese (uno e due). La mia preferenza tra le due va a Nîmes perché notevolmente più spettacolare e meno colpita dal turismo camarguense, riprendo il mio cuore là dove l’avevo lasciato anni fa, seduto di fronte alla maison carrée illuminata dal sole del tramonto e dai primi blu della sera. La casa quadrata è un tempio di età augustea dedicato a Cesare ben conservato che nella sua storia ne ha passate di ogni sorta, casa privata, persino stalla per i cavalli durante le scorribande napoleoniche, e che abita elegantemente una bellissima piazza della città che una volta era il foro.
Il fatto che abbia avuto un numero civico dipinto accanto alla porta della cella dalla rivoluzione in poi e che questo numero, si vede ancora, sia l’89 ha un che di commovente. L’anfiteatro ancora utilizzato, les Jardins de La Fontaine, la torre di vedetta, il centro tutto, il castello dell’acquedotto, la qualità di vita molto alta fanno sì che tra le città mediopiccole Nîmes sia in vetta alle mie preferenze come luogo dove abitare stabilmente. Certo, è un po’ fuori dalle grandi direttrici ma, insomma, ci si può organizzare. Rispetto a quindici anni fa, i giochi d’acqua sono meno e c’è un museo romano in più, piuttosto ricco e ben allestito, divertente l’idea della sezione finale di souvenirs storici, posaceneri a forma di arena, saponi Nemausus e così via.
In generale, la qualità della vita è decisamente più alta che da noi, più che altro perché c’è un’educazione rispettosa più diffusa che permette a tutti di non subire situazioni di conflitto o fatica non necessarie, suonerie dei telefoni, parcheggi insensati con quattro frecce, clacson a vanvera, recinzioni, divieti, pattumi, rumori di fondo, cose così. Non so quale sia il loro segreto, di fatto riescono a godersi di più gli spazi della propria città, come per esempio qui sotto, senza che ci sia una recinzione attorno o qualche demente che con bomboletta dice la propria, vedi Pantheon pochi mesi fa. Rispetto a Marsiglia non è un altro mondo ma un’altra Francia sì.
Mi fermerei per lo splendido spettacolo che va in allestimento all’arena ma la mia gita di fuori porta richiede prontezza e spostamenti, quindi fotografo il cartellone e resto col rimpianto.
Il prigioniero a destra in braghe del pigiama ha titillato la mia immaginazione, peccato.
Arles è più battuta, nonostante sia periferica alla Camargue ne è di fatto la base e il punto di partenza, il numero dei locali e delle mangerie per turisti è decisamente al di sopra della media consigliata e la qualità ne risente, oltre alla sensazione generale di un cattivo rapporto col prezzo. Aggiunto il fatto che praticamente non esistono zone pedonalizzate, l’attitudine turistica di Arles – che pure merita tutto, visto l’anfiteatro, le mura, le terme, gli alyscamps, le piazze – è più vicina al tanto-vengono-comunque romano e veneziano che all’accoglienza vera, non sarà un caso che il sindaco è uno sceneggiatore ex-presidente di France Télévisions. Oltre a tutto, c’è Van Gogh, che ad Arles trascorse molto tempo e molto la dipinse, come da mia testimonianza qui sotto, e che costituisce senz’altro un’attrattiva potente e fascinosa.
Anche qui c’è agitazione tra i lavoratori e vedo la prima manifestazione: non molti, forse una cinquantina, giovani coppie e più attempati, qualche testa di Macron in cartapesta e più che altro un po’ di fastidio per il traffico e le carreggiate, niente di particolare. Domani, però c’è lo sciopero generale e io non so bene che aspettarmi, visto che avrei il volo di ritorno. Ma sono positivo, mi hanno cancellato il volo di andata, vuoi che sia così sfortunato da subire anche la cancellazione del ritorno?
Esatto.
Da tempo non dormivo per terra in aeroporto, eccomi qua. Per me conta niente, ma le centinaia di persone lasciate a terra con bambini piccoli, età avanzate, impegni di lavoro calcolati, tempi ristretti potrebbero avere qualcosa a che dire con gli scioperanti, la cui protesta, alla fine, chi danneggia per davvero? I passeggeri dei quattro voli notturni cancellati provano a individuare triangolazioni possibili per avvicinarsi a casa, qualcuno parte per Dublino, altri per Francoforte, altri aeroporti smarriti nel nulla, e poi si vedrà. Si favoleggia di un blabla-bus in partenza da Nizza alle tre di notte per Milano ma a Nizza bisogna pure arrivarci, Ryanair offre una notte pagata ma alberghi qui attorno nemmeno a parlarne, io colgo al volo un quartino di pavimento e un volo per Roma la mattina successiva e bon, con la speranza che questo, almeno, parta.
A la proscèm, franzosi.