Perché così era: donna coraggiosa. Oltre a tutto il resto.
Dieci pezzi, dunque per ricordarla, i links a youtube spariranno in breve, come al solito, ma si potranno ritrovare facilmente. Grazie a Ed Power.
Mandinka ai Grammys del 1989, qui. Presentata da Billy Cristal con l’appropriata considerazione: «With her very first album, The Lion and the Cobra, she has served notice that this is no ordinary talent». Lei irresistibile, fece una delle sue esibizioni emozionanti e potenti in cui tratteneva a mala pena l’energia, da cui alcuni suoi movimenti e balli apparentemente un po’ goffi, non si teneva.
Nothing Compares 2 You a Top of the Pops nel 1990, qui. Almeno una volta il suo più grande successo commerciale va messo. Commerciale, appunto, lei che non volle mai essere una popstar, «I had no desire for fame», disse più volte, e Top of the Pops è l’emblema di ciò che non volle. Smise di cantarla a un certo punto e persino io, umile adepto del culto, non l’ho mai apprezzata. Però averne, dò comunque via molto del resto per questa.
I Am Stretched On Your Grave, 1990, qui. Dal suo secondo album, bellissimo, il pezzo è una rielaborazione del poema irlandese del diciassettesimo secolo Táim Sínte ar do Thuama, appoggiato su un loop mutuato da Funky Drummer di James Brown e con l’aggiunta del violinista dei Waterboys. O’Connor rilesse il pezzo alla luce della morte della madre in un incidente stradale nel 1985 e non è che sia del tutto encomiastico e di lamentoso dolore.
War al Saturday Night Live nel 1992, qui. Ne ho parlato ieri, lo sanno tutti, è il momento in cui cambiò i versi finali della canzone di Marley e stracciò la foto di GPII dicendo: «fight the real enemy». Come racconta lei nella sua bella autobiografia, al primo sbigottimento del pubblico, quindi il silenzio, seguì subito una reazione ostile e alla discesa dal palco, nel retro, non c’era più nessuno, tutte le porte chiuse. Persino il suo manager si negò al telefono per tre giorni: «And when I walk backstage, literally not a human being is in sight. All doors have closed. Everyone has vanished. Including my manager, who locks himself in his room for three days and unplugs his phone». Siccome, poi, ovviamente era negli Stati Uniti, l’ostilità del paese divenne costante e lei non ebbe più occasioni particolari là.
Ship Ahoy con i Marxman, 1993, qui. I Marxman erano un quartetto hip hop irlandese-caraibico e fin dal nome fu chiaro che erano sulla stessa lunghezza d’onda, di rifiuto all’estabilishment e di lotta al potere costituito. Appena si presentò l’occasione, le era piaciuto il loro singolo Sad Affair, fecero qualcosa insieme, Ship Ahoy appunto.
Thank You For Hearing Me, 1994, qui. Questa versione mette in risalto la base ritmica e il basso e, in sostanza, il groove da trip-hop leggero che contraddistingue il pezzo. Come ha confermato nell’autobiografia e come si sa, è stato scritto pensando a Peter Gabriel ed è evidentemente espressione di profonda riconoscenza, anche nella parte finale del breaking my heart e tearing me apart. Era il suo pezzo preferito da fare in concerto perché: «it just could take you, like a mantra, to these stratospheres of almost hypnosis» e così va ascoltato.
Empire con i Bomb The Bass, 1995, qui. Appena successivo, testimonia l’interesse di O’Connor per il trip-hop in quegli anni. Prodotto da Tim Simenon, lei duetta con il poeta Benjamin Zephaniah cantando «Vampire, you feed on the life of a pure heart, Vampire, you suck the life of goodness» riferendosi direttamente all’Inghilterra e al colonialismo del suo impero. Anche qui, un discorso ampiamente avanti per i tempi, lei tra gli altri vedeva bene quali fossero le questioni da affrontare.
She Moved Through The Fair, 1996, qui. Ripresa per il Michael Collins di Neil Jordan, O’Connor rivitalizzò il pezzo tradizionale al punto da diventare un’interpretazione difficilmente superabile. Inserisco questa versione perché si sente con chiarezza quanto lei fosse eccezionale dal vivo, come e meglio della sala di incisione, in cui non veniva aggiunto alcunché. Le sfumature sono numerosissime, i toni pure, nessuna aggiunta o virtuosismo inutile, andrebbe insegnata alle cantanti di oggi.
A Prayer For England dei Massive Attack, 2003, qui. In questo disco, la collaborazione fu su tre pezzi e nonostante sia considerato un album minore dei MA, direi che sia sottovalutato. Questo pezzo è sulla violenza infantile, «Let not another child be slain, Let not another search be made in vain» e anche qui è impossibile non cogliere la sensibilità di O’Connor che deriva, evidentemente, da vicende personali.
The Skye Boat Song, 2023, qui. Pezzo ripreso nella sigla della serie Outlander, O’Connor reinterpreta il brano tradizionale scozzese variando tra l’intimo e l’epico. «She is talented beyond measure. Hers is a voice of the ages – one which pierces heart and soul» disse qualche mese fa il produttore, a ragione.
Che bella quando sorrideva alla fine dei pezzi, quasi timida abbassando lo sguardo. E come invece puntava dritto senza mollare quando diceva qualcosa. Ma come si fa a non volerle bene?