Ma porcocane, Michela Murgia.
Nessuno dice mai sono malata sto morendo, si dice sempre che ci si sta curando, che si è guariti. Cambiano gli sguardi delle persone, cambiano le osservazioni, in rete poco di buono da aspettarsi, specie per una come lei oggetto di odio di tanti e di affetto, spero, di molti di più. Lo sapevamo, ce l’aveva detto ai primi di maggio, ma questo non toglie nulla al dispiacere e al senso, grazie, di perdita. Ha detto a Cazzullo: «Si è creata una certa aspettativa, se non schiatto in breve tempo sembra maleducazione…». Che tempra. Come ha sempre fatto, e come un’intellettuale qual era fa, ha utilizzato ciò che le accadeva per trarne una norma, una linea sulla quale riflettere e partire per modificare le cose che non vanno, il matrimonio per esempio, controvoglia, «non saremmo ricorsi a uno strumento patriarcale e limitato se avessimo potuto garantirci i diritti a vicenda», deciso per quell’assurdità italiana per cui in articulo mortis solo i consanguinei e la moglie o il marito possono dare indicazioni sulla condotta terapeutica, altrimenti son carte bollate da morirne, mentre sarebbe così utile e umano che lo potessero fare anche le persone d’elezione, scelte prima. Molti lamentano la resa pubblica della malattia e anche in questo caso bisognerebbe imparare a non giudicare: lei era, ripeto, un’intellettuale e rendeva pubblica la propria vita per forzare certi legacci di società patriarcale, bigotta e talvolta fascista che ancora ci portiamo dietro e dentro, ciascun faccia come crede ma la si pianti di esprimere giudizi su chiunque.
Di cose, Michela Murgia ne ha dette tante e, spesso e in maggioranza, cose intelligenti di cui abbiamo un gran bisogno. È stata padrona di sé ed è importante, per quanto lo si possa essere quando a cinquant’anni ti comunicano una diagnosi nefasta, ha avuto il tempo per salutare e per mettere alcune cose a posto, spero che questi mesi di vita malata pubblica, di paura di notte, siano serviti anche a farle arrivare l’amore e l’affetto delle migliaia di persone che l’apprezzavano, a far sì che la comunità di persone come lei sensibili le si sia stretta attorno. A noi, qua, resta la perdita, ed è grave perché non sostituibile e il peso specifico della testa pensante che ora ci manca è parecchio, si fa e si farà sentire. Aveva detto di recente: «Il nostro vissuto personale oggi è più politico che mai, e se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa: un altro modello di relazione». Ed è in quello che io ho imparato di più da lei, come persona e come maschio, parlando di genere, ma il suo riferimento è anche al fascismo dei rapporti, alle sopraffazioni nelle relazioni, allo svilimento dei modi a favore degli obbiettivi. Ecco, a me come a moltissimi quest’eredità è presente, c’è e molti di noi, i migliori, la porteranno ad altri, mescolandola a tutti gli altri contributi delle altre teste pensanti che ci sono e ci sono state. E ci saranno, perdio, perché ci saranno eccome, anche grazie a lei, Michela Murgia.
Ho letto e saputo di lei più ora che è morta che da viva.Mi è piaciuta tantissimo, anche per quell’idea di famiglia queer che ha sperimentato, per la sua spontaneità, le sue idee, il suo umorismo. E per ultimo il suo modo di affrontare la malattia.Un esempio, caro trivigante