Riparto, finalmente. Con mossa per me inedita, avvio il viaggio con un pullman, un flixbus, per ragioni di orari e di collegamenti. L’atmosfera a bordo è più vicina a una stalla in gita scolastica che a un viaggio organizzato, comprensibile a ben guardare la tratta: Bordeaux-Bucarest. Ma io scendo prima. Salgo a viaggio ben avviato e mi vien subito sonno, sarà la mancanza di ossigeno e l’aria addensata. Siamo seguiti da tre Ducati, furgoni, ricolmi di cartoni che trainano altrettante auto, una Jeep. Io sono in penultima fila, cioè nella zona meglio di qualsiasi gita in pullman, e dietro di me ci sono tre sessantenni rumeni dalle prosperose pance che non smettono mai di parlare e mangiano centrioli sottaceto da un enorme barattolo. Bella musica, si può immaginare, sacchetti di cibo per il viaggio e mises improbabili che arrivano alle sole mutande. D’altronde sto andando a est, meglio entrare subito in clima, ho già desiderio di ćevapčići. Già mi immagino che nelle prossime sette ore possano scoppiare svariate risse, un matrimonio e un paio di funerali cantati a bordo del pullman, ed è subito Kusturica.
Stranamente, al confine ci fermano, il capo rumeno del flixbus raccoglie tutti i documenti e li consegna a una delle tre pattuglie di carabinieri al ciglio della strada, appena prima della barriera. Che poi barriera non è e non dovrebbe essere, vista la presenza della Slovenia nella UE, i pullman fermi sono parecchi. È notte, io farò tardi all’alberghetto sloveno e non sono mai entusiasta di consegnare i miei documenti a un tizio rumeno nella corsia di emergenza di un’autostrada di notte. Che strano. I fumatori esauriscono la capacità di fumare sigarette consecutive e risalgono, aspettiamo; una ragazza bionda non troppo contenta è attorniata da quattro panzoni che fanno trascorrere il tempo conversando con la persona evidentemente più interessante del pullman; l’autista dorme. Evidentemente, non lo scopro ora, esistono passaporti più pesanti di altri anche in Unione Europea. Alla fine ripartiamo a tarda notte e il commento sul ritardo del bus, a bordo e anche in albergo, è as always.
È domenica mattina e ci sono i mercatini, lungo la Ljubljanica. Soliti, dischi, lampade di antiquariato, bigiotteria e l’immancabile banchetto con i memorabilia di Tito: ritratti, libri, discorsi su vinile, bronzi, spille, solito. Ovviamente qui percepisco la cosa come para-antiquariato, quasi pop, paccottiglia in vendita come i dischi del quartetto Cetra senza adesione ideologica mentre i busti del mascellone in Italia mi fanno incazzare. Devo decisamente rivedere la mia linea di condotta. Ljubljana, Lubiana d’ora in poi, è città ad alta resa, ovvero tutte le comodità della città medio-piccola, amichevole e tirata a specchio, verde, ottima posizione tra colline, boschi e montagne più serie, e l’offerta delle capitali, musei significativi, servizi, infrastrutture. E infatti i turisti lo sanno, mica lo scopro io: tutto pieno o quasi e lungo il fiume i tavoli sono molti. La somiglianza immediata è con Cracovia, in linea d’aria nemmeno troppo lontana, Salisburgo, Heidelberg, Würzburg, Vilnius, dai, da noi direi i centri di Trieste, ovvio, Trento, Verona, non tante con così alta qualità d’offerta. Tutte queste città sono proprio nel posto dove dovrebbero essere le città, ovvero un fiume che scorre tra alcune colline, una più vicina alta ma non troppo per metterci il castello, sufficiente piano ma non troppo, vie d’accesso, buon clima, proprio dove si punterebbe il dito e modestamente Lubiana lo puntò.
Di mitteleuropa sono rimaste due o tre vie del centro, sotto il castello, poi complici un paio di rovinosi terremoti, l’avvento dell’architettura moderna tra cui per fortuna il liberty e, meno, il garbato stile jugoslavo, periferico qui rispetto, per dire, a Belgrado, il miscuglio è gradevole e riuscito. Si capisce che consiglio? Una bella fontana barocchina rappresenta i quattro fiumi sloveni con tanto di obelischetto ma il tutto si richiama troppo alla fontana dei fiumi di Bernini a piazza Navona per non essere buffa. Dopo di che, tutto passa in secondo piano rispetto all’eroe locale, Luka Dončić, inarrivabile, e proprio nella pallacanestro, qui. D’altronde, sempre avere uno slavo in squadra, che quando ci sarà da alzare i gomiti, lui farà il suo. Peccato ora non si riesca più a trattenerli, Lubiana-Dallas è un bel salto. Io di salto ne progetto uno più corto per domani, quindi giro in stazione per progettarlo e capire come, poi altri zonzi per quartieri interessanti di Lubiana, Metelkova per esempio, un giro tardo domenicale alla galleria d’arte nazionale per imparare qualcosa su tremila anni di arte slovena in due ore e poi, con merito se fatta la mia quindicina di chilometri quotidiana, una Sarajevsko lungo il fiume, accompagnata da innumerevoli ćevapčići e cipolle crude.
D’altronde, oggi è talmente bello che persino i condominii slavici fanno la loro figurina. E io mi concedo il lusso, come spesso in giro, di trovarmi una bella pianta in un parco usato come parco, sì, qua fuori fanno così, sdraiarmici sotto sull’erba e scrivere questo minidiario, leggere e perché no? dormire all’arietta fresca. Sto proprio da signore.
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