Marie Curie o, come diciamo noi che cerchiamo di liberarci del patriarcato a costo di slogarci la lingua, Maria (Salomea) Skłodowska, visse pochino a Varsavia. Ci nacque, ci studiò un po’, poi andò a servizio dagli Zorawsk «a tre ore di treno e quattro di slitta da Varsavia» e poi, saggiamente, alla prima occasione se ne andò a Parigi a studiare e far fortuna, a ventiquattro anni nel 1891.
A Varsavia, appena fuori dalle mura della città vecchia, c’è la casa in cui nacque. Una bella casa, perché il padre Władysław fu scienziato, educatore e traduttore, la famiglia della piccola nobiltà terriera. Oggi la casa, ampia per ospitare la famiglia numerosa, è adibita a Museo Maria Skłodowska-Curie, eccola qui:
Bella, per carità, tutta ristrutturata a beige, forse con i fondi europei. Peccato, però, perché fino a qualche anno fa, la vidi per la prima volta nel 2015, la casa era non solo un po’ sgarruppata come si conviene alla vecchia Europa ma aveva in facciata, colpo di genio, disegnati due impertinenti radio e polonio che scorrazzavano come matti, liberati dalla provetta della scienziata.
Se il radio, Ra, 88, fu così nominato dal radius latino, il polonio, Po, 84, fu così chiamato per ragioni geopolitiche, per porre l’attenzione alla lotta per l’indipendenza della Polonia, alle prese per l’ennesima volta con l’occupazione russa. Nel 1911, Maria Skłodowska fu insignita del nobel per la chimica proprio per la scoperta e l’isolamento dei due elementi, dopo il primo nobel per la fisica del 1903. Intenzionalmente, non depositò il brevetto internazionale per il processo di isolamento del radio con la volontà di agevolare la ricerca scientifica, consapevole e delle potenzialità dell’elemento e della sua insita pericolosità. Che, tra l’altro, fu tra le cause della sua morte e del fatto che, ancora oggi, le sue spoglie sono chiuse in una bara di piombo al Pantheon e le sue carte conservate in scatole dello stesso materiale e possono essere consultate solo con una tuta protettiva.
Tornando alla casa, mi piaceva di più prima, con quei due cosi a correre tra le finestre. Per carità, non che lei, Maria (Salomea) Skłodowska, fosse una burlona, tutt’altro – ma tralascerei di menzionare i commenti di Einstein al riguardo, sicuramente eccessivi e dettati da una certa qual scadente consapevolezza dei rapporti tra i generi – e, quindi, forse il museo richiede maggior serietà ma è pur vero che qualche guizzo in più, anche gratuito, rende più attrattiva la scienza per noi poveri profani ignoranti.
Poco riuscito è il monumento poco lontano, che se si capisce cosa tenga in mano tutta la parte della tunicona meno, sempre in tema polacco mi ricorda la statua orinale del papa a Termini. È quel che succede, di solito, nei posti che celebrano chi se n’è andato presto e ha fatto fortuna altrove, vedi Salisburgo con Mozart, i ricordi sono un pochetto pretestuosi e mal riusciti. Val piuttosto la pena risegnalare un ricordo di Maria Skłodowska molto più valido, ovvero il film di Marjane Satrapi, Radioactive, dal fumetto di Lauren Redniss. Ne avevo parlato qui, insisto, proprio bello e commovente. Che così, guardando il film, si impara pure che Maria Skłodowska fu anche militante per tutta la vita e durante la prima guerra mondiale si pigliò su la figlia Irène, Nobel pure lei e io mi sento proprio idiota, attrezzò un’auto con una macchina per le radiografie portatile e se ne andò al fronte per salvare più vite possibile. Al fronte, capito?