Un euro, trentatre lire egiziane. Un caffè cento lire, tre euro, se ne prendi due otto. Cambio variabile e come sempre nei paesi – so che pare brutto dirlo ma così è – del terzo mondo vigono prezzi per gli indigeni e prezzi per gli stranieri. Il pagamento in euro è sempre apprezzato, specie appunto al tasso di cambio variabile dell’angolo della strada e ancor più apprezzato il cambio tra euro in monete ed euro in carta, non cambiandoli le banche. Le mance poi sono un’altra variabile senza regole precise, nei templi ci sono figure inofficiali che indicano cose notevoli o segnalano le photo opportunities, oppure sono vestite con turbanti e le costituiscono essi stessi, o ti porgono la carta igienica nei bagni o schiacciano il distributore di sapone al tuo posto, insomma che vuoi fare? Non dare? Ovvio che regni la sproporzione, a volte ho cinquanta lire a volte cinque euro, senza senso.
In viaggio verso nord per vedere due luoghi, Abydos e il tempio di Seti I e il complesso di Dendera con il tempio di Hathor. Il primo è un tempio in stile del tutto razionalista tremilacinquecento anni prima del razionalismo e probabilmente quello con la più alta qualità artistica di tutto il circondario, il secondo uno dei templi meglio conservati con alcune rappresentazioni significative dello zodiaco e del cielo e una delle sacrestie – eh già – più belle. Di fatto, è sempre un’occasione per vedere pezzi di paese che è, davvero e senza incertezze, un paese molto povero. Se un affitto al Cairo può variare tra trenta e tremila euro al mese, c’è di tutto, le giovani coppie con qualche possibilità scelgono case nelle città nuove nel deserto, che costano meno. Chi vive fuori dalle città, se è fortunato vive nella striscia irrigata dal Nilo e, quindi, ha cibo e possibilità, se lo è meno allora vive lungo qualche canale derivato, non sempre dotato d’acqua, in piccoli villaggi con case di cemento armato interrotte al primo piano, case di mattoni secchi o baracche di fango essiccato misto a paglia. Rifiuti. I ragazzini salutano sempre, ricambiano e sorridono, invece di tirarci un sasso in testa come dovrebbero, e hanno l’aria di non aver mai visto una scuola, nonostante ci parlino di periodo di vacanza. Un bel po’ di uomini hanno l’aria di non lavorare affatto.
Nel frattempo, strade, ferrovie, canali, condominii e poi ancora un po’ di strade. Non sempre finite, non sempre in corso, talvolta non si capisce bene se si prosegua o no. Fuori dal Cairo il codice della strada non esiste, i sorpassi sono leciti in ogni direzione e il contromano non è biasimevole. La moto in tre quasi una regola, avessi un’azienda produttrice di caschi non tenterei il mercato egiziano. Calessini per turisti, carretti con gli asini, motorette con cassone a tre ruote ovunque, pickups con uomini seduti dietro che ormai fa tanto Isis nelle nostre testine. Persone amorevoli e persone sfibranti, c’è da dire che l’indifferenza non esiste e io, tutto sommato e nonostante una certa fatica talvolta, lo preferisco. In centro a Luxor, nome moderno occidentale, greca Tebe e saildiavolo il nome in egiziano antico, c’è una magnifica libreria sostenuta da due enormi colonne di granito, chiaramente del tempio, che ha in catalogo l’intera produzione in lingua anglosassone riguardante l’Egitto, dall’introduzione della stampa agli anni Ottanta. Di fianco, il mercato per i turisti, bancarelle straripanti di piramidi di pietra e alabastro, sfingi, Anubi, Tutmosis, scarabei, sciarpe, tuniche, incensi, olii e avanti con tutto l’armamentario. Al mercato loro ci si arriva, costa un quarto, ma pochi osano mangiare frutta o verdura fresca, men che meno carne macellata da poco sul pavimento di un garage o pesce in cassette al sole da un po’. Magari il pesce no ma il resto lo provo, che il dio egiziano delle viscere mi protegga anche stavolta.
Le entrate ai musei, ai templi, alle tombe sono costosissime, parlo di svariate decine di euro, sarà la solita tariffa differenziata per turisti e gruppi, e ogni luogo visitabile ha un metal detector all’entrata che suona invariabilmente ma importa poco e un macchinario per controllare l’interno delle borse che un annoiato militare egiziano guarda a volte distrattamente a volte per nulla. Ce n’è ragione, sia chiaro, probabilmente al di sotto della scimitarra non costituisce titolo di preoccupazione. E poi sembra l’ennesimo provvedimento che tutela a vario titolo i turisti tanto quanto chi ci lavora quanto chi ne ha responsabilità. Durante le visite, ora mi è più chiaro il meccanismo che non avevo colto qualche giorno fa, ci viene immancabilmente appioppato un poliziotto-militare, ovvero una persona apparentemente priva o di competenze specifiche o del fisico adatto, ma sai mai, dotata però di pistolona o fucilone che dovrebbe, condiz., occuparsi della nostra incolumità. Dato però che non vi sono ragioni per temere per essa, di fatto è una protezione di tipo mafioso che il regime impone, bisogna pagare il militare che poi si fa gli affari propri tutto il giorno seguendoci a distanza. Di fatto, è contribuzione diretta al mantenimento di quella pletora di persone armate che oggi costituiscono la forza e la mano armata del regime e un domani contribuiranno a fare la pelle al dittatore, quando avranno un’opzione migliore.
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