La conversazione con Habib scivola sugli ultini decenni di governo tunisino, in particolare gli anni dopo la primavera araba del 2011, la più riuscita di tutto il nordafrica. La Tunisia, infatti, è senz’altro il paese più laico e democratico di tutta la regione, il presidente finalmente eletto con libere elezioni, la parità di genere maggiore che negli altri paesi, la libertà d’espressione non sono ancora in grado di valutarla, nemmeno superficialmente. Faccio presente ad Habib come la svolta dal 2020, post covid, sia stata letta in senso reazionario in Europa e non a caso Meloni è qui giorno sì giorno sì. Ribatte, lui, che il presidente si sia trovato in conflitto con un apparato statale profondamente corrotto, e non stento a crederlo, e che le leggi speciali servano a rimuovere uomini e settori resistenti al cambiamento. È preparato, Habib, non è, non sembra, allineato né timoroso di esprimersi, e anche quando sostengo che la liquidazione del parlamento mi paia un pessimo segnale in senso oppressivo mantiene la sua linea. Troppo presto per capirci qualcosa compiutamente, è un fatto però che le ragazze e le donne senza velo siano la maggioranza e che sia di fatto ormai una questione culturale e familiare.
Il pullmino corre verso nord-ovest tra colline molto più verdi e coltivate di quanto mi aspettassi. Certo, Sallustio me l’aveva detto, terre fertili, il granaio dell’impero, ma io pensavo meno. Gran campi di grano, uliveti a non finire – il piano governativo di raggiungere i cento milioni di piante, otto per ogni tunisino, è a buon punto -, qualche pineta di conifere appena si sale, papaveri, fondi qua e là e fattorie a presidiare il territorio. Non molti alberi, quello potrebbe già dipendere dalla pesante modifica che taluni chiamati Romanes imponevano ai territori occupati. Mucche multicolore, molte pecore, qualche paesello in lontananza. Uno straniero può acquistare una casa in Tunisia ma non la terra, quella la deve prendere in affitto.
In questa zona si raggruppano i bacini artificiali del paese per la conservazione dell’acqua, essendo il resto più a sud fondamentalmente desertico. Nonostante le forti piogge d’aprile, alcune abbastanza disastrose, il livello delle acque resta al trenta per cento della capacità complessiva e si prevede, anche qui e anche quest’anno, un’estate di siccità. Come gli altri anni, è facile prevederne il razionamento: dalle sei di sera alla mattina ciccia. Chissà che qualcuno da noi ne deduca qualcosa.
Salendo sulle colline dell’interno, quasi fino a seicento metri, in posizione preminente che domina tutto il territorio, uno di quei posti in cui uno punta il dito e dice: qui, arrivo a Dougga, l’antica Thugga. È certamente oggi la città romana meglio conservata e completa in Tunisia, grande e ricca, dominata dal tempio dedicato alla divinizzazione di Alessandro Severo e ovviamente dal grande foro. Città punica prima, da cui il nome, poi fortezza bizantina: il tempio è oggi circondato da un enorme muraglia costruita accumulando pietre delle abitazioni e monumenti romani. Non avendo terre argillose o comunque non manodopera esperta, la città è di pietra e non di mattoni, anche se usata alla maniera del mattone. Il colore giallo della pietra, il terreno, il verde degli ulivi e l’azzurro del cielo si combinano mirabilmente. Insieme, essendo il 21 è festa, non tanto per la fondazione di Roma quanto per la giornata internazionale del patrimonio, l’accesso è gratuito e la città romana è quindi popolata di persone che visitano, fanno picnic, suonano e cantano. Si sente spesso quel vocalizzo acuto e ripetuto che fanno le donne in oriente per far festa. La città è sontuosa e ci vuole qualche ora per percorrerla in buona parte, un mausoleo misto punico, romano, orientale, berbero domina la valle.
Oggi è giornata di città prima puniche e poi romane, quindi risalgo su un piccolo pullman e vado a Bulla Regia. Alle pendici di una splendida rupe rossastra, Bulla – anche qui nome punico integrato dai Romani – è una città ricchissima e splendidamente lasciata sotto campi di papaveri e, dove scavata, per nulla protetta. Se camminare su magnifici mosaici di duemila anni fa per qualcuno potrebbe essere un’esperienza, sicuramente dal punto di vista della conservazione è un disastro. E a me mette più a disagio che ad agio. Bulla, città di ricchi mercanti, è ricolma di splendide ville di grandi proporzioni, con tutti gli armamentari del caso, colonnati, fontane e magnifici mosaici, e ce ne sarebbe per decenni di campagne di scavo.
La prerogativa della città è che le grandi ville hanno una parte corrispondente, sale da pranzo, da riposo, per triclinii, fontane sotto terra, per ragioni di fresco. Sotto, dunque, alcuni ambienti colonnati con apertura per la luce sono ricoperti di mosaici che adornavano le sale da pranzo, per pigri e piacevoli pranzi e pomeriggi estivi, immagino. Aggiungere uve, olive, fichi d’india, formaggi, il gorgoglio dell’acqua, forse un po’ di musica, mi sta già venendo sonno, quello placido da estate di cicale sul Mediterraneo.
Che meraviglia. Non c’è nulla che supporti un turista, a parte un bagno e un negozietto, c’è un enorme generale militare che sotto un ulivo mangia una bric, una specie di omelette ripiegata, e non ci sono nemmeno turisti. Mangio un piatto di piatto tipico della zona, uno spezzatone di cinghiale – dovremo cominciare a mangiarli anche noi, insieme alle nutrie -, bevo un caffè dal cui fondo potrei trarre auspici per anni e ripiglio le mie carabattole e torno a Tunisi, che domani voglio andare sulla costa.