Io i pretesti son bravissimo a inventarmeli e così è anche stavolta: Suzanne Vega un anno dopo, però in un posto strepitoso, un’ex-cava sui monti Euganei, formalmente Monselice.
I monti Euganei sono una bignolata di coni vulcanici disseminati nella pianura più piatta, niente a che fare con morene o residui glaciali, qui si parla di un fondo del mare, una volta. Sono bellissimi e non lo scopro oggi io, i patrizi patavini e ancor più su veneziani lo sapevano benissimo, Petrarca pure, i vescovi di Padova altrettanto e gli uomini che scheggiavano selci da queste parti non erano da meno. Certo, è Veneto, quindi insieme zone meravigliose spesso sfruttate da sèmpi, senza criterio. Perché oltre a tutto, essendo vulcani, ci son pure le acque calde e con esse immensi albergoni abbandonati, testimoni di cure e soggiorni termali benefit della borghesia d’anzianità, col beneplacito dello stato nascente.
Galzignano, Battaglia, la leggendaria Abano, tutte terme. Venni una volta a vederla con mio padre, si prospettava un periodo di cure, scappammo a gambe levate, preferendo piuttosto soluzioni tentacolari col logorio. Ma sono i posti in sé, alcuni, non i colli, che vale la pena invece girarseli.
Il senso, poi, dei Colli aveva ancor più senso perché erano raggiungibili via acqua, il che rendeva non solo per i padovani facile la cosa ma, di conseguenza, anche per i veneziani, distanza breve anche da là. Una breve remata dei servitori ed era Catajo, Valsanzibio, Praglia, ovviamente Este, Saccolongo, la scamozzata delle sette chiese e avanti così, e Cornaro, Emo, Obizzi e facciamo notte. Oggi poi ci sono i veneti produttivi che, nonostante ci si siano provati con la pervicacia che li contraddistingue, non sono ancora riusciti a rovinare tutto e a musealizzare l’esistente con inserti di cemento armato e serramenti in alluminio pensando di essere Carlo Scarpa.
Sorpresa piacevole, la mattina dopo, incontro nella sala colazione Gerry Leonard, cortesi cenni del capo di saluto e gratitudine, per poi incrociare anche lei, Suzanne Vega, idem. Non è che abbia poi granché da dire, intendo io, se non una generica riconoscenza per una carriera prolifica fatta di canzoni che mi piacciono. Ma fa piacere il saluto vicendevole, così potrà dire agli amici di avermi incontrato.
Dando corso al mio progetto di fine settimana sui Colli Euganei, seguo l’indicazione della mia guida spirituale, del maestro, di colui che mi indica la via, che alla domanda su quale sia il suo rifugio dello spirito risponde: «Non riesco mai a trovarne in città abitate; per me qui è il Monte Venda nei Colli Euganei». E io su, dritto al Monte Venda, come il migliore dei discepoli. Una volta ho diviso un piatto di risotto agli asparagi con il mio maestro DDP ma questa sarebbe un’altra storia.
Al Monte Venda, presto. Spirito perché in cima, oltre a una base militare NATO e ai ripetitori che permettono di vedere ‘L’Eredità’ a tutto il nord Italia, si trovano i resti di un’importante abbazia olivetana del dodicesimo secolo e là vado, perché il maestro me l’ha detto.
Un po’ anche perché è la cima più alta di tutti i colli e io devo sempre andare nel posto più alto, più lontano, più difficile. Quindi, come Petrarca, di casa qui sui colli, nella sua familiaris racconta la sua ascensione a Dionigi da San Sepolcro, «Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso», posso io oggi dichiarare alla stessa maniera, immodestamente, «Oggi spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Venda». Buffoncello.
Poiché «l’ostinata fatica vince ogni cosa» e nonostante un caldo ribaldo e nonostante io non abbia un fratello virtuoso che salga per la via più impervia a insegnarmi le cose della vita, arrivo su anch’io, da solo solingo che anima viva non si coglie, tranne due coppie di civili che hanno vinto tutte le lotterie del mondo, gestendo per conto dell’esercito l’abbazia e che colgo intenti a pranzare sotto le piante belli ventilati. Due ore dopo, quando ridiscendo, il loro pranzo è ancora in corso. Chissà se c’è un futuro Vannacci tra loro, mentre l’altro disgraziato si balocca in queste ore a Strasburgo, che vergogna. A questo penso mentre scrivo queste righe, non solo. Mi godo parecchio il posto e la vista, altroché.
Piglio su le mie, dunque, e scendo per tornare nel mondo reale che più velocemente non potrei, anche se ancora non lo so. Ma questo, domani, che ancora son turbato.