Ancora senza possibilità di tornare a casa, scendo a Este che dei Colli Euganei fu senz’altro il centro principale per lungo tempo. Estensi, appunto, Ezzelini, Scaligeri, Carraresi e Visconti e, data poi la salubrità del clima, cioè qualche decina di gradi di meno della pianura padana spinta, fu terra di residenze meravigliose, castelli e ville di piacere. Che piacquero poi a Byron, Shelley, Bembo e chiunque possa venire in mente. Tra essi, uno dei miei preferiti è senz’altro Alvise Cornaro, saggio possidente terriero con buon modo di stare al mondo, che qui si fece costruire una splendida residenza, equilibrata e di gusto come era suo solito. E qui scrisse i suoi Discorsi della vita sobria, di’ poco: «Non havendo adunque l’huomo miglior medico di se stesso né miglior medicina della vita ordinata, questa si debbe abbracciare».
Ma non si occupò solo di inviti alla moderazione nei costumi e nella crapuloneria, si occupò di idraulica, ingegneria, letteratura, agricoltura e architettura, scienza della bonifica e così via. Ma anche di arti e di vita armoniosa, grazie soprattutto alle capacità professionali di Giovanni Maria Falconetto, che lo supportò grandemente dal punto di vista tecnico nelle sue aspirazioni. A loro, tra le altre cose, si devono la Loggia e l’Odeo Cornaro a Padova, ancora oggi visibili, che diedero un luogo alla rinascita del teatro nel Cinquecento e alla nascita di Ruzante. Meriteranno discorsi più ampi.
Este, come dicevo, fu apprezzata anche da taluni chiamati Romanes, ci mancherebbe, che costruirono alcune ville in zona e ponti e strade, come loro solito, e che venetamente vengono mal conservati con una delle zone archeologiche più deprimenti mai viste. Ma lasciate la roba là sotto, perdio, che è meglio.
Con i trentasei gradi di Este, che se hai la villa misurata e la fontanella sobria va bene, ma se sei come me esule da casa, con sì e no due paia di pantaloni nel bagagliaio e uno spazzolino comprato al supermercato stamane, manco il dentifricio, un poco in più si sentono, mi inerpico un po’ a zonzo su per i colli a schivar la noia, come giustamente precettavano nel Cinquecento, fino ai Denti dea vecia e per valli e vallette di queste magnifiche colline vulcaniche.
Poi mi appropinquo verso ovest, lentamente che la mia amica T. con le chiavi arriverà a notte tarda. Ma qui attorno la pianura è punteggiata di meraviglie e non di rado vengo a vedere come sia. Due passi per la via principale di Montagnana e circumnavigazione delle mura, risalgo a Pojana maggiore, a Finale di Agugliaro, a Campiglia dei Berici, a Bagnolo vicentino a vedere ville palladiane una più bella dell’altra – il bello è che basta vederle da fuori, perlopiù – e tra esse villa Saraceno sopra tutto, la più armoniosa ed elegante e, appunto, sobria, casa mia per alcuni giorni tempo fa e ancora oggi col cuore. Ohibò, c’è gente, chi ha dormito nel mio lettino?
Il caldo è notevole e la stanca della pianura si vede, le persone stanno rintanate all’ombra, beati loro, io vado a Lonigo che ha un grande giardino a mangiare un ghiacciolo, a bere una birretta, a leggere sotto i platani nell’erba tirando sera. E mi addormo, pure, vedendo pian piano crescere la popolazione che col calar del sole si avventura fuori, forse anche col richiamo della finale degli Europei.
È ora, il sole sta mollando la presa, piglio su i miei quattro stracci – letteralmente stavolta – e vado verso casa, dove mi aspetta un giorno, domani, di copie di chiavi e sostituzioni di cilindri di porte blindate, colpa mia, che stridore con il dire di Cornaro, le barche placide al castello del Catajo, con Suzanne Vega che canta The queen and the soldier, con la cima del Venda, con la Lettera ai posteri di Petrarca – «Ho sempre avuto il massimo disprezzo per le ricchezze, non perché non mi piacessero, ma perché odiavo le fatiche e le preoccupazioni che ne derivano», quanta ragione -, con quel pane con l’olio che mi hanno dato a Teolo, con le scamozzate a Monselice. Beh, fosse così tutti i giorni forse l’apprezzerei meno, vada così. Alla prossima, me stesso del futuro.