L’incredibile moneta da tre somoni che sconvolgerà ogni forma di economia tradizionale e, oserei dire, di calcolo planetario.
Mi attacco a un gruppetto di persone per andare a visitare uno dei luoghi più belli del Tajikistan: i sette laghi della valle di Shing. Serve un fuoristrada perché bisogna seguire la strada delle miniere d’oro per svariati chilometri e poi proseguire per la valle e sulle morene. Sterrata qui si intende quel tipo di strada che dopo cinque minuti lo stomaco è in gola e dopo due ore il cervello nel sedere.
I laghi sono glaciali e tra uno e l’altro è necessario scavalcare il fronte morenico, al quale la spinta del ghiacciaio non era più sufficiente e in fasi lunghe e successive il ghiaccio scavalcava. Le pareti sono ripide, a volte compatte a volte franose, e molto alte, ampiamente oltre i tremila in cima.
I colori dell’acqua sono strepitosi, a seconda del fondo, dell’inclinazione della luce, della larghezza del lago. Sulle pareti rocciose si vedono chiaramente le striature bianche delle cascate stagionali, allo scioglimento dei quattro-otto metri di neve che cadono qui.
La nostra auto, che è più un van che una jeep, sembra una barzelletta trita: un italiano, un autista e una guida tagiki, una donna russa, una coppia orientale. Fino a che la donna russa non vomita, la scossa piacevolezza della gita è stata ragionevole.
Di lago in lago, quarto, quinto, sesto, variano colori e dimensioni, saliamo verso i duemilaeotto del settimo, Hazorchashma, la temperatura è piacevole. Io ho le mie albicocche essiccate e la necessaria acqua, sempre. Oltre a qualche mucca, cane, è il regno delle capre che mantengono i rari praticelli all’inglese e quando non ce n’è più salgono sugli arbusti.
Dopo l’ultimo lago, una famiglia ci ospita in casa loro per il pranzo, tutti seduti attorno ai tappeti centrali, sui quali vi è il cibo, amarene e albicocche delle piante qui fuori, due tipi di pane cotto al forno, uno yoghurt acidino che è una favola se scarpettato, tè, zucchero in cristalli e in sfere bianche compatte.
Molte le chiacchiere con i miei compagni di viaggio, meno con i locali, ma esprimere riconoscenza è gesto umano e universale, si capisce. La famiglia sta indietro, le ragazze soprattutto, a occhi bassi, difficilmente guardano negli occhi un uomo, cattivo segno. I ragazzini sono più sfrontati, evidentemente gli è permesso. Con la donna russa è più complicato parlare, sia perché è bianca come un cencio e ha lo stomaco come un mocio, sia perché molti argomenti sono spinosi di questi tempi. Oltre al fatto che, si vede, considera queste zone come dipendenze di casa, ancora.
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