trivigante scopre le cose: il cotone

Una settimana fa ho scoperto il cotone. Cioè, sapevo dell’esistenza del cotone e ne conoscevo la forma in calza o maglietta o mutanda ma ne ignoravo la forma naturale, ammesso che ne avesse una.
Poi ho letto della politica delle monocolture dell’URSS e di come Uzbekistan e una piccola parte del Tajikistan fossero stati scelleratamente dedicati alla coltura del cotone e allora mi sono avventurato in un campo, in senso letterale, per vedere questo cotone come diavolo fosse fatto.
E ho scoperto che a) è una pianta, b) richiede molta acqua e lavoro, ottima quindi per luoghi semidesertici, c) a un certo punto come è d’uopo fa un fiore:

d) poi questo fiore si impallina e si imbozzola, per fare come è anch’esso d’uopo, il frutto:

e) alla fine si apre e, magia!, il nucleo è una calza di spugna praticamente già indossabile:

Tra le tante conseguenze della presenza del cotone, una mi tocca da vicino, dalla vita in giù. Fedele cliente di Carrera Jeans da quando Levi’s divenne troppo cara, anche per pantaloni di ogni forma e colore diverso dai jeans, e fedele alla linea politica dell’azienda veronese, «one life, one race, one world, one jeans», sapevo della loro verticalizzazione assoluta del processo, ovvero dalla coltivazione del cotone alla produzione di abbigliamento al negozio. Come sapevo della delocalizzazione in Tajikistan, sia per la coltivazione della materia prima che per la lavorazione, ho potuto constatare di persona la presenza in tutte le città tajike del marchio:

In questo caso è una storia originale. Non bella come quella di Dolce & Gabbana in Uzbekistan, che quando decisero di aprire un negozio a Tashkent scoprirono la decennale esistenza di centinaia di negozi a loro nome nel paese.

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