minidiario scritto un po’ così di un breve giro baltico: tre, relitti, il mare, la costa di là, settembre

Nel 1980, per le olimpiadi di Mosca, tutte le discipline a vela furono svolte a Tallinn. Ha senso, era il mare più vicino a Mosca o quasi, diciamo. Tra le strutture costruite apposta, oggi brilla la Linnahall, un enorme auditorium piazzato proprio sul mare in aggraziato cemento armato com’era uso. Dopo qualche breve momento di celebrità, dopo le olimpiadi intendo, ovvero qualche concerto post indipendenza tipo i Duran Duran, restò lì dove Mosca l’aveva messo e lì sta. Anche perché a questo punto non si sa bene che farne, troppo concreto per farlo saltare, irrestaurabile e lunghissimo e costoso da demolire.

Un bel relitto del passato spiaggiato. Ma non mancava nulla al classico corredo dei paesi socialisti dipendenti da Mosca, per esempio l’enorme e visibile dappertutto torre della televisione, versione ridotta, non di tanto, di quella di Berlino est. Che è a sua volta la versione contemporanea, novecentesca e tecnologica, dell’analogo palazzo dell’informazione, l’incombente grattacielo che domina invece a Varsavia e a Riga, per esempio. Una rappresentazione simbolica di come tutto arrivasse alle onnipresenti orecchie di Mosca e del governo centrale, il concetto oppressivo di ‘informazione’ come quello di ‘amicizia’ nei ponti come quello di Narva.

Piglio le mie carabattole e mi accingo al ritorno, seppur per la via larga. Ovvero traghetto per attraversare il mar Baltico dritto qui davanti e arrivare a Helsinki. Ottanta chilometri, dritto. Una volta c’era l’elicottero da Tallinn, anzi dal suo aeroporto, a Helsinki, sopravvolando il mar Baltico. Dopo l’incidente nel Golfo di Finlandia nel 2005 fu però sospeso e io mi dico peccato che un giro l’avrei fatto volentieri. Come l’elicottero dall’aeroporto JFK al Pan Am building, che bello sarebbe stato, non fosse che anche lì fu un disastro. Traghetto. Che anche l'”Estonia” nel 1994, nzomma.

Vent’anni fa lo presi in direzione contraria e ricordo una cosa specifica, vediamo se è ancora così. Lo è. Sulle banchine del porto di Tallinn sono sparsi parecchi grandi magazzini che vendono alcolici nelle più svariate forme. Ma grossi. Che ci si chiederebbe, non fosse che si capisce subito: frotte di finlandesi con carrellini vengono qui a fare rifornimento. La disparità di prezzo dev’essere tale che il costo del traghetto, poco peraltro, diciannove euro, non influisce sul senso della trasferta. Anche perché la legge finlandese stabilisce sì delle soglie ma, come dire?, piuttosto lasche: settanta litri di birra a persona, novanta di vino, dieci di superalcolici.

Perlamadonna, settanta? Novanta? E io che se bevo due medie di fila faccio voti di castità alcoolica per sempre in nome della medicina moderna? Ci penso talvolta: ma quanti ne avrà salvati internet, nelle province a nord della Scandinavia?

Probabilmente il costo del traghetto per l’auto e le soglie consentite suggeriscono il viaggio a piedi – non so, magari la stiva è piena di auto traboccanti di gin -, considerando che settanta litri di birra sono duecentodieci lattine il trasporto a piedi diventa persino impossibile. Questo per stare a un modesto consumo settimanale, immagino.

Vieni, amore, che per la domenica padre-figlia ti porto a fare una bella gita a Tallinn, che accompagni il papà a prendere una cosa che gli serve.

Bene, accomodato in una delle tante marine di Helsinki mi godo l’aria e il vento del Baltico, il cielo del Baltico, entrambi fenomenali, il sole del dappertutto, le aringhe, marinate e fritte, sempre del Baltico, insomma è il mio mare, anche lato finlacchiese. E la vista delle navi rompighiaccio, che già mi fa fresco. E mi godo gli ultimi scampolini di questa minifuga, ogni occasione è buona e da prendere. E anche l’immancabile insalata a predominanza cetriolo, ma com’è possibile? Può essere nominato la verdura universale? Lo trovavo in cima al Tajikistan come al fondo della Baviera o al centro della Cina o lungo le coste del Sudafrica. Ma cresce ovunque? Con e senza acqua? Può? Il mondo è cetriolo, in certe parti ti danno l’acqua aromatizzata a esso, è in tutti i big Mac dell’universo, li dovrei mettere anche sugli occhi, pickle Rick. Che poi si mangiano due chili di carne stracotta nel vino e panna acida con due litri di birra e quel ruseghino di notte, si, maledizione: è il cetriolo.

E mi godo l’art noveau declinata alla finlandese e, soprattutto, il modernismo del nord, notevole, e qualche Alvar Aaltata, tra cui il bar nella libreria accademica, Akateeminen Kirjakauppa, bella lingua e magnifici libreria e bar, persino le maniglie.

Che poi non conosco molti paesi come la Finlandia che siano passati in pochi anni dall’avere le pezze al culo – gergo economico stretto – alla ricchezza spalmata su tutto e tutti, parlo di Nokia e del benessere diffuso per i cinque milioni di finlacchiesi, e come con la stessa velocità abbiano poi perso parecchio, facendo il percorso contrario. I paesi arabi col petrolio, mi verrebbe da dire, ma le moli sono diverse e la durata pure. Oggi Nokia è un industriona, per carità, e un capolinea del treno, fantasia, ma non più il colosso di una volta. Come avere il novanta per cento del mercato e mancare la svolta fondamentale, il caso viene illustrato nelle università. Abbastanza europeo, direi, come approccio generale.

Per carità, intendiamoci: avevano veramente le pezze decenni fa, con un’autonomia di un secolo e il peso russo a fianco, ora per quanto l’epopea Nokia non sia più florida hanno comunque un pil nominale maggiore del nostro. Sono pochi, certo, questo aiuta.

Il telefono ha ricominciato a squillare, le mail ad arrivare, i messaggi, le proposte dei contratti energetici, è decisamente lunedì ed è decisamente settembre. Se io fossi una persona furba, proprio per questi motivi mi dileguerei ancora più lontano ma tanto furbo non sono, per cui piglio la strada di casa. Ma oh, certo che appena vedo uno spiraglio telo, chiaro, e mi tengo sereno la tariffa del gas peggiore.


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