minidiario scritto un po’ così al di là de «il discendente»: tre, cerco di parlare di politica locale, cammino sotto il sole, forse trovo qualcosa

Qualcuno mi racconta che, nel 1947 all’arrivo dei primi ebrei in fuga dall’Europa, i suoi nonni donarono loro alcuni terreni che, poi con l’istituzione dello stato di Israele, diventarono quel che poi sono oggi, il centro di Tel Aviv. E i nonni fuori. Poi, io che considero come tutti gli europei il governo giordano una monarchia costituzionale e tutto sommato rispettosa di certi diritti vengo contraddetto molte volte, mi viene spiegato come sia invece il contrario, nessuna opposizione se non controllata dal re stesso, nessun quotidiano discordante, nessuna radio se non quelli, appunto, controllati.

Anche il re giordano sarebbe in mano al governo israeliano, mi spiegano in molti, e il trattato di pace avrebbe allora tutto un altro aspetto. Anche tutti gli aiuti internazionali, erogati per aiutare a sostenere la pressione dei profughi della macroregione sulla Giordania, almeno formalmente, sarebbero invece un modo sostanziale per mantenere lo stato allineato all’occidente. Certo, ovvio che devo fare mille tare a quanto mi viene detto ma, come sempre, è utile venire a vedere dall’altra parte. Ah, qui non la chiama nessuno Giordania: la chiamano Palestina. Per saperlo, ecco. Anche in Yemen, sul fondo della penisola arabica, c’è la guerra, in questo caso una guerra civile, ma gli effetti della situazione a Gaza si ripercuotono anche lì, con gli Houtu che nel mar Rosso intercettano le navi in nome della libertà palestinese. Si tratta chiaramente di strumentalizzazione ma fa parte del sistema di geometrie variabili per cui chiunque nell’area si muove in reazione a un’azione altrui, vuoi per vicinanza, convenienza va a sapere che. Ormai è tutto talmente compromesso e da troppo tempo che cercare una logica lineare è una perdita di tempo e risalire di azione in azione, di posizione in posizione indietro nel tempo, altrettanto. L’idea che mi viene trasmessa maggiormente è che Netanyahu non solo non si fermi perché criminale ma, a questo punto, non si possa più fermare perché, a potere perso, dovrebbe rispondere di ciò che ha fatto in questo anno. Forse negozierà un’uscita ma non ora.

Scendiamo a sud, ovviamente voglio vedere la piccola e la grande Petra, ci mancherebbe che già che son qui non ci andassi. E così è. Un paio di cose, altrimenti sarebbe troppo lungo e complesso raccontarne e poi, comunque, esistono le guide esaustive. La prima è che noi chiamiamo Petra un solo monumento, anzi a essere precisi, una tomba mausoleo, quella che sbuca fuori al termine della gola, quella di Indiana Jones e chiamata, propriamente perché lo è, “il Tesoro”. In realtà, Petra è un’enorme città, le tombe scoperte sono circa ottocento, molte delle quali simili alla prima, ed è ancora in gran parte da scavare. Per arrivare all’ultima, “il Monastero”, cammino prima un’ora e poi in salita per quasi mezz’ora, per più di settecento gradini tra le gole di roccia rossa. Questo per dire delle dimensioni. Fino a pochi anni fa la vecchia Petra, abbandonata per un millennio dopo le glorie nabatee, era abitata dai beduini e in piccola parte ancora lo è, in alcune grotte ai margini. Poi fu costruito un villaggio qui sopra, sono in realtà case modello-calabrese, per i beduini, in cambio dello spostamento. I nabatei, poi. Ci sarebbe molto da dire, popolazione davvero interessante di cui sto apprendendo ora le caratteristiche e la storia, fino a due giorni fa per me ignote. Magari più avanti, è già venuta lunga oggi e non è nemmeno mezzogiorno.

Come da prescrizione, tralascio le coppe più sontuose e scelgo la coppa più umile, quella certamente fabbricata da un modesto falegname. Eccola.

Se questo è il sacro Graal, allora qualcuno stia molto molto attento a sé da adesso in poi, eheh. Anche se, forse, non era proprio questa l’idea iniziale, sospetto.


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