Il 24 marzo 1975 al Madison Square Garden Muhammad Ali, il campione del mondo dei pesi massimi, venne sfidato per il titolo da Chuck Wepner, un imponente massimo grande incassatore la cui caratteristica principale era il coraggio, poiché non si tirava mai indietro e non mollava mai, sopperendo così alla scarsa tecnica; il suo difetto peggiore era, invece, la facilità con cui la faccia prendeva a sanguinargli, dopo solo qualche colpo. Infatti, nella sua carriera gli furono praticati complessivamente 329 punti di sutura al viso, e sarebbe stato un record se non ci fosse stato Vito Antuofermo (ma questa è un’altra storia).
Ali, ormai all’inizio della parabola discendente della carriera, aveva però battuto Foreman sei mesi prima nel rumble in the jungle ed era unanimemente il più forte del momento; Wepner dal canto suo – di tre anni più vecchio di Ali ma fisicamente più grosso – si era allenato bene, per sette settimane, così da essere al meglio per l’incontro. Non che sperasse di sopraffare Ali, ma sperava nel colpo di fortuna, nel colpo giusto al momento giusto.
Si racconta che la sera prima dell’incontro, Wepner comprò un negligée blu trasparente per la moglie e, donandoglielo, le disse di indossarlo la sera successiva perché sarebbe andata a letto con il campione del mondo.
Fin dalle prime battute fu chiaro che la distanza tra i due pugili era incolmabile e Wepner capì abbastanza presto che non ce l’avrebbe fatta: adottò allora una tattica di combattimento volta a restare in piedi fino in fondo (il KO è pur sempre un’umiliazione per un pugile) e, magari, colpire a sorpresa, sfruttando le sue grandi doti di incassatore. Al nono round, colpendo Ali al petto, gli pestò accidentalmente un piede, facendogli perdere l’equilibrio e facendolo cadere alle corde. Era il suo momento.
L’arbitrò non iniziò nemmeno a contare. Ali si alzò ed era più sorpreso che rabbioso; continuò così a picchiare Wepner alternando fasi di incasso appoggiato alle corde a fasi di combattimento nelle quali gli volteggiava attorno e lo colpiva alla testa. Wepner resisté quasi fino alla fine, a pochi secondi dal gong della quindicesima ripresa cadde alle corde e fu decretato il KO tecnico. Non ce l’aveva fatta per pochissimo, diciannove secondi, ma questo nulla toglie al suo grande coraggio.
Sempre secondo il racconto, la sera, in camera, a Wepner si presentò la moglie, che indossava il negligée blu. Lei, memore della promessa, pare l’abbia guardato e abbia chiesto:
«Devo andare nella camera di Ali o viene lui qui?».
Ma non è certamente un racconto vero, Wepner non era così stupido. Facile che l’abbia raccontato lui stesso, dopo, alle feste.
Quella sera, tra il pubblico, allora gli incontri li proiettavano nei cinema, c’era un giovane e sconosciuto Sylvester Stallone, che cercava di concludere un copione che stava scrivendo da tempo. Ispirato dalla figura di Wepner, ovvero del coraggioso che non molla mai e che coglie l’unica occasione che la vita gli propone per colpire, realizzando l’impresa della vita, nei tre giorni successivi concluse la sua sceneggiatura dalla quale avrebbe tratto il suo primo film. E infatti Muhammad Ali, come Apollo Creed, non riuscì a mandare al tappeto Wepner/Rocky Balboa, vincendo sì il combattimento ma senza la gloria che va ai perdenti che non si arrendono mai, secondo quanto prescrive l’epica stalloniana.
Qui l’intero combattimento. E, per far capire meglio il coraggio di Wepner nel resistere ad Ali, ecco la foto finale dell’incontro, che dà un’idea piuttosto precisa di cosa significava combattere per il mondiale dei massimi, in particolare contro Ali.