minidiario scritto un po’ così di un giro nel paese che non va d’accordo con nessuno: uno, primo assaggio

Sorvolo un mare azzurro, bellissimo, piatto e tranquillo. Da sempre ho immaginato traffici e scambi, anfore di olio e vino, grano, marmi rossi egiziani, legnami, persino obelischi sdraiati, merci e mercanti. Oggi no, guardo giù e penso ai barconi, ormai per antonomasia, strabordanti di migranti e lì è notte, fa freddo, il mare è agitato, vanno in direzione inversa alla mia e, soprattutto, sono in acqua. Non come oggi che tutto riluccica e suggerisce solo benessere.

All’aeroporto di Tripoli Mitiga, dopo aver zigzagato tra relitti di aerei di fusoliera sovietica, ci vogliono quattro ore per il controllo dei passaporti e dei visti. Il contatto locale sta al telefono e non pare sereno, il pacchetto di documenti è stato preso da uno con una gran barba e portato via. Pare che il direttore dell’aeroporto voglia un elenco delle nostre generalità ma non come quello che abbiamo consegnato, più bello, più in ordine alfabetico, più discendente. Niente di nuovo, sono piccoli esercizi di potere locale e miserabile, almeno a differenza del Tajikistan non ci sono quarantasette gradi e siamo al coperto. Sei mesi fa qui si sono sparati con gli AK47 e le camionette con sopra i fucili da assalto che si vedono a lato di ogni strada principale per il controllo dell’aeroporto, quindi direi tutto bene, ora. Ci hanno già affibbiato un militare, anzi un poliziotto. Ma non normale, uno della polizia politica e, attaccatosi come una patella, dovrà seguirci ovunque. E non potremo girare senza di lui, quando è stanco e vorrà andare a casa, noi pure. Non a casa sua.

Tutta questa attesa per avere un timbro sul passaporto che, scopro ora, mi impedirà d’ora in poi di chiedere il permesso di entrata negli Stati Uniti, se non previo colloquio al consolato americano di Roma. Vabbè, una cosa alla volta. Ho il timbro, il passaporto, il visto è sparito, il poliziotto c’è, ci salutiamo pure, è ora di fare altre operazioni preliminari. Il contatto libico arriva con una bustona di carta piena di dinari in banconote da dieci, il cambio è uno a cinque, dice che se vogliamo cercarci un cambio a otto nella città vecchia, liberi. Va bene cinque. Carte di credito non se ne parla, non ne prendono da nessuna parte, vogliono la valuta buona. Oggi è un prefestivo, domani è venerdì, lungo la strada lungo la costa, la Balbea al tempo, edifici in stile calabrese, coi ferri a vista, si snodano verso l’interno. Sulla spiaggia macerie di stabilimenti balneari chiaramente spianati con le ruspe, qua e là enormi edifici abbandonati, mostri scheletrici di cemento armato, fermi dal 2011, dalla caduta di Gheddafi. Da allora, due guerre civili e l’attuale divisione del paese in due, con il caos o quasi a ovest, in Tripolitania.

Agli angoli della Tripoli vecchia le colonne romane di risulta della vecchia Oea sono incastonate negli intonaci, i vicoli e il suq richiamano Tunisi, vicinissima in linea d’aria, la zona attorno all’arco di Marco Aurelio mantiene un certo fascino nonostante tutto. È piccola, fino alla piazza dei Martiri una volta Verde ai tempi di Gheddafi, il verde era il suo colore fin dal libretto, passando davanti al palazzetto della Banca di Roma, utilizzato proprio ai tempi dello scandalo. Ciò che rende tutto più piacevole sono i colori, il mare verde e blu, il cielo senza una nuvola, pare di essere a Bari. Appena superato il confine della città vecchia, poca, alcuni edifici della città razionalista dell’Italia liberale prima e poi di quella fascista coloniale e poi una sterminata pianura di case a un piano e mezzo o condomini fatte di forati e cemento armato. Nessuna finita. Sotto il Castello Rosso – il museo archeologico nazionale è chiuso dal 2011 come tutti i musei, comincia a diventare una data spartiacque – un enorme assembramento di persone compresse al cui centro ci sono alcune mani levate che fanno numeri è il luogo delle contrattazioni. Di che? chiedo, Di tutto, mi rispondono evasivi e ci invitano a girarci attorno. Due giovani uomini si dividono sul sellino di una motoretta un mazzo di euro in banconote che sarà come minimo il mio stipendio di un anno. In una fila di garage con adesivi di cambio e invio di moneta persone gestiscono quantità significative di carta moneta, molti dollari. Qualche baracchino vende il tè e una bevanda strepitosa: limonata con menta, eccellente, d’estate dev’essere il meglio del meglio.


zero | uno | due | tre | quattro | cinque | sei | sette | otto

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