Crolla un ponte sull’A14 e una coppia, poverelli, si schianta contro il calcestruzzo in mezzo alla corsia morendo all’istante.
Ora: è altamente improbabile che io, e chiunque là fuori, singolarmente, muoia sotto un ponte che crolla proprio nel momento in cui io – o altri – passo sotto.
Ma la legge dei nemmeno tanto grandi numeri, pensandoci, mi dice che è invece altamente probabile, se non sicuro, che se un ponte dell’autostrada crolla faccia delle vittime. Sull’A14 a marzo è in effetti un po’ meno sicuro che, per dire, sull’A4 a luglio ma insomma, siamo nell’ambito della quasi certezza: perché se passa un auto di media ogni, diciamo, cinque secondi, lo schianto è assicurato.
Resta l’improbabilità, altissima, che sia proprio io a morire in questo modo: però accade, se no vallo a spiegare a quei due poverelli di ieri a Castelfidardo.
Questo per dire che le cose vanno valutate per quello che sono o, diciamo, bisognerebbe farlo: la casualità ha colpito duro, ieri, la coppia e i loro familiari, è vero; ma era pressoché sicuro che il ponte, cadendo, avrebbe ucciso qualcuno. Non loro, non me, ma qualcuno.
Mi sono spiegato come posso, ho i miei limiti anche nel campo del calcolo delle probabilità, ma per la questione rimando a un libro bello e difficile che ho letto qualche tempo fa: Il caso non esiste. Perché le cose più incredibili accadono tutti i giorni di David J. Hand (il sottotitolo è scemo e fuorviante). Hand spiega come la fatale combinazione della «legge dei numeri davvero grandi» e della «legge dell’inevitabilità» renda non solo probabili, ma molto probabili, avvenimenti che non avremmo dato per possibili.
Tanti ponti, tante strade, prima o poi uno cade. Tanto traffico, tante ore, se il ponte cade incoccia nel traffico. Guardando le cose in diversa prospettiva, vien quasi il pensiero, peggiore, del perché non accada più spesso.